«Guardi, il signor Cucchi era una persona tranquilla, spiritosa, anche abbastanza….quindi posso soltanto dire che era abbastanza tranquillo, si… si è anche scherzato, aveva anche dei tratti molto spiritosi, con un linguaggio romanesco simpatico insomma».

Parlava cosi, di Stefano, il Maresciallo Mandolini, durante l’udienza in Corte di Assise a Roma il 28 aprile 2011. Questi sarebbero, a suo dire, i loro momenti vissuti insieme alla Stazione Appia subito dopo il suo arresto. Fatto sta che Stefano Cucchi si rifiutò di firmare quasi tutti i verbali che vennero redatti in quell’occasione. Era la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009. Un paio di giorni dopo, i Carabinieri Casamassima e Rosati videro Mandolini dal collega Mastronardi a Tor Vergata. Era preoccupatissimo. Parlava del fatto che i suoi sottoposti avevano esagerato con un arrestato. Le sue condizioni fisiche lo preoccupavano e non sapeva come fare.

La mattina del 22 ottobre quell’arrestato viene trovato cadavere, nel suo letto, ricoverato all’ospedale Sandro Pertini, struttura protetta. Così si chiamava e suona drammaticamente stonato.

13 anni di lotta

Inizia così la storia della nuova vita di Ilaria Cucchi, la sorella di quel tossico arrestato dai militari dell’Appia. Una storia di dolore tremendo e di violenta ingiustizia.

Una storia di rabbia composta, di impegno civile e di disperata ricerca della verità. Inizia cosi la lotta di Ilaria contro i muri di gomma, contro i pregiudizi di coloro che non sanno e le menzogne di coloro che, viceversa, sanno.

Ilaria, col suo corpo esile mentre regge a fatica, il peso della enorme foto del volto devastato dalle violenze del fratello già cadavere, diventa l’immagine di quella lotta.

Non cede mai. Non arretra di un solo millimetro di fronte a sentenze sfavorevoli ed ingiuste. Le sconfitte le danno nuova forza trascinando dietro di sé affetto, stima ed indignazione della gente che, sempre più numerosa, si identifica in lei.

Non è stato per nulla facile. Tra denunce e conferenze stampa “la sorella” ha via via restituito dignità a quel cadavere martoriato. Ora è e si chiama semplicemente Stefano.

Così come capita sempre più spesso che le persone che la incontrano per strada o al supermercato, riconoscendola, la chiamino “Ilaria!”. La ringraziano emozionandosi.

La giornata della sentenza di Cassazione che ha messo un punto sul caso Cucchi è stata durissima. Un’attesa che pareva non finire mai. Una tensione palpabile di chi vuole continuare a credere nella giustizia con la fottuta paura di non poterne essere più capace.

Dopo 150 udienze e 15 gradi di giudizio si tratta di dimostrare che lo Stato esiste ancora, che la legge è uguale per tutti e che quindi è più forte delle logiche di potere.

Si tratta di poterci continuare a credere. Ma si tratta, soprattutto, della vita di Stefano Cucchi e della sua famiglia.

“Fabio, abbiamo vinto!”, mi ha detto Ilaria questa mattina appena sveglia.

Si abbiamo vinto ma, questa volta, ha vinto anche lo Stato.

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