La Cassazione si è espressa sul caso Cucchi: condanne ridotte da 13 a 12 anni per i due carabinieri imputati di omicidio preterintenzionale. Appello bis per gli altri due accusati di falso.

Il terzo grado di giudizio ha ridotto le pene per i carabinieri accusati del pestaggio che ha causato la morte di Stefano Cucchi: 12 anni ad Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro per omicidio preterintenzionale; per Roberto Mandolini, ex comandante della stazione Appia, e Francesco Tedesco, il primo che ha ammesso il pestaggio ai danni del ragazzo, è stato disposto un rinvio in un appello bis.

Una sentenza leggermente diversa da quanto deciso nei primi due gradi di giudizio. Ma Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, è soddisfatta: «A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via». Parole ribadite anche dal legale Fabio Anselmo.

Per Stefano Cucchi, quella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, «fu una via crucis», in cui gli fu inflitta «una punizione corporale di straordinaria gravità» e sproporzionata, per usare le parole del procuratore generale della Cassazione Tomaso Epidendio, che ha sostenuto l’accusa nell’ultimo grado di giudizio contro i carabinieri imputati del pestaggio che, secondo l’inchiesta, ha causato la morte del geometra romano.

La storia

Cucchi è arrestato il 15 ottobre 2009 a Roma perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Aveva con sé 20 grammi di hashish, cocaina e alcune pasticche per l’epilessia di cui soffriva.

Il pestaggio del ragazzo è avvenuto la notte successiva al suo arresto. È nella caserma Casilina che subisce violente percosse. Subito dopo viene trasferito, in custodia cautelare, nel carcere di Regina Coeli, senza che gli sia concessa la possibilità di vedere i suoi familiari.

Le sue condizioni di salute apparivano fin da subito critiche, tuttavia non fu portato in ospedale. Le visite mediche continuarono fino al trasferimento nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, dove è morto il 22 ottobre. Il suo peso era sceso a 37 chili.

Da quel giorno inizia la battaglia della famiglia, con la sorella Ilaria in testa, per accertare la verità dei fatti sulle cause del decesso di Stefano. Le foto che ritraggono il suo corpo magrissimo, con ematomi e lividi ovunque, hanno suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica.

Leggi anche: Ilaria Cucchi: "Anche le parole possono uccidere"

La prima inchiesta

Dopo la morte di Stefano sono rinviati a giudizio per la sua morte tre agenti della polizia penitenziaria, sei medici e tre infermieri. Tra le accuse: abbandono d’incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso d’autorità.

L’ipotesi dell’accusa è che il geometra abbia subito le violenze nelle celle del tribunale e sia stato lasciato morire di fame e sete in ospedale. A giugno 2013 la sentenza di primo grado ha assolto infermieri e agenti, ma condannato i medici del Pertini. Ma già in appello, nel 2014, tutti gli imputati, anche i dottori, sono stati assolti per insufficienza di prove. Il ricorso di Ilaria Cucchi in Cassazione porta a un nuovo processo di appello per omicidio colposo rivolto ai medici, assolti di nuovo. L’assoluzione è stata poi annullata dalla Cassazione nel 2017, ma sul reato nel frattempo interviene la prescrizione.

La seconda indagine

La sorella del 31enne non si è arresa e con l’aiuto dell’avvocato Fabio Anselmo ha ottenuto la riapertura del caso e una nuova inchiesta nel 2015. Nel gennaio del 2017 la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dei tre carabinieri che hanno arrestato Cucchi con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Altri due membri dell’Arma sono stati invece rinviati a giudizio per calunnia e falso. Richieste che sono state accolte dal giudice per l’udienza preliminare il 10 luglio 2017.

Leggi anche: Anselmo: “Per i detenuti non c’è riscatto, questo carcere è solo vendetta”

La confessione

La svolta nel processo arriva con l’accusa dei propri colleghi da parte di uno dei tre carabinieri imputati. Francesco Tedesco, infatti, sostiene che ad aver picchiato Stefano siano stati loro, causandone la caduta e le lesioni sul corpo. Inoltre lo stesso militare afferma di aver segnalato con una nota di servizio il caso, poi sottratta, tirando in ballo anche il comandante, che secondo Tedesco era a conoscenza degli eventi. L’8 aprile 2019 il militare imputato ha chiesto scusa a tutta la famiglia Cucchi e anche ai tre agenti penitenziari assolti durante il primo processo.

Le sentenze

Il 14 novembre 2019, la Corte d’Assise di Roma pronuncia la sentenza: 12 anni di carcere per Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, tre anni e otto mesi per Mandolini e due anni e mezzo per Tedesco. Mentre il 7 maggio 2021 era arrivata la decisione della Corte d’appello che aveva innalzato le pene a 13 anni per i due carabinieri accusati del pestaggio di Cucchi, a quattro anni per Roberto Mandolini e aveva confermato la pena per Tedesco.

I depistaggi

Con la denuncia di Tedesco si aprono anche nuove indagini per la falsificazione degli atti sul pestaggio. Sui “depistatori” è in corso il processo. Giovedì 7 aprile si terrà la prossima udienza: tra gli imputati otto carabinieri, tra cui generali e comandanti, con le accuse di falso, favoreggiamento, calunnia e omessa denuncia.

© Riproduzione riservata