Articoli, libri, podcast: ne resteremo storditi. E quella che raggiunge il grande pubblico ogni sette anni è in realtà un’alluvione ininterrotta. Basta fare una rapida ricerca sui cataloghi online delle biblioteche, e vedere quanti risultati saltano fuori quando cerchi “presidente della Repubblica”. «Su Maria non si dice mai abbastanza», dicevano i teologi; e lo stesso vale per il Quirinale, pur con tutti i distinguo del caso.

D’altra parte forse dovremmo usare il plurale: i presidenti della Repubblica. Perché ognuno di loro è stato un pezzo unico, e ha richiesto una riflessione sempre nuova. Non solo all’inizio della storia; anche di recente: basti pensare al potere di scioglimento della Camere con Oscar Luigi Scalfaro, alla grazia con Carlo Azeglio Ciampi, alla intercettazioni di Giorgio Napolitano e alla responsabilità giuridica del presidente, alla nomina o non nomina dei ministri con Sergio Mattarella, e così via. Altro che quel «fannullone» che in assemblea costituente qualcuno paventava potesse diventare.

Un’identità difficile

Così, è difficile fissare l’identità del presidente. Molto più facile dire cosa il presidente non è, piuttosto che trovare «la parola che squadri da ogni lato». Anche perché la Costituzione non aiuta per niente. È così precisa su tante cose, ma la disciplina del presidente è lasciata volutamente «allo stadio di abbozzo». Una vaghezza spaventosa, ma pensata e voluta.

Perché se il presidente dev’essere il motore di riserva del sistema, colui che ha il compito di riavviare il sistema quando va in stallo, allora è necessario che sia agile, che riesca ad infilarsi negli ingranaggi senza troppa fatica per riavviarli quando si bloccano. Nelle crisi le cose rigide non servono, si rompono; nelle crisi serve elasticità. 

Un semplificatore

In realtà, qualcosa di importante la Costituzione lo dice, all’articolo 87: “il presidente è il capo dello stato e il rappresentante dell’unità nazionale”. La formula è tanto solenne, quanto difficile da sciogliere, e, infatti, di solito si passa subito all’elenco dei singoli poteri presidenziali sciorinato nei commi successivi – invia messaggi alle camere, indice le elezioni, eccetera. Ma così si perde di vista la foresta.

«Capo dello stato» sembra facile. Quando uno ci pensa, ha subito in mente una serie di poteri tradizionali – grazia, onorificenze, comando delle forze armate – che infatti restano lì, pari pari dalle vecchie costituzioni. Ma non si tratta solo di questo. Il presidente è «capo dello stato» nel senso che, quando la matassa si ingarbuglia, è lui che trova il capo del filo da tirare per scioglierla. È uno che risolve, insomma, che semplifica, il capo dello stato; non uno che complica.

L’unità nazionale

E poi c’è «rappresentante dell’unità nazionale», la parte più difficile, un po’ misterica. Già unità nazionale sembra più roba da Ottocento. All’unità della nazione non ci crede più nessuno, ma già da un pezzo. E se, davanti al dramma di una società sempre più plurale, all’inizio si è tentato di realizzarla a forza, questa unità, poi si è cominciato a pensare che la pluralità più che un problema fosse un valore, e che quindi più che da risolvere fosse da integrare.

Di questa funzione di integrazione è investito il rappresentante dell’unità nazionale, e si tratta non solo di un’integrazione attraverso le regole – l’arbitro, come si era presentato Mattarella – ma anche di un’integrazione simbolica.

Per sottrazione

Mattarella è stato maestro anche in questo. Il fuori onda di Giovanni e del barbiere è un gioiello di integrazione simbolica; come lo è il presidente che sale da solo, in una Roma deserta, le scale dell’altare della patria il giorno della liberazione. È un chiamare a raccolta le differenze, le pluralità, anche le parti in conflitto, per unificarle orientandole a un valore più alto: l’appartenenza a una comunità di destino («Anche io non vado dal barbiere»), o i valori della Resistenza su cui questa comunità si fonda. Il rappresentante dell’unità nazionale è uno che unisce, insomma; non uno che divide.

Se c’è un’identità del presidente della Repubblica, dunque, è questa: uno che semplifica e unisce. Speriamo che ce l’abbiano in mente i “grandi elettori”, ma non solo loro: anche i tanti autocandidati. Un metodo che in queste situazioni può aiutare è quello di procedere per sottrazione: forse è più facile cominciare a dire chi l’identità tracciata dalla Costituzione non ce l’avrebbe, e già questo semplificherebbe un po’ il discorso. Perché è vero che giganti, anche questa volta, forse non ce ne sono; ma che sia almeno di media statura…

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