Dal primo gennaio verrà a meno il blocco dei licenziamenti vigente ormai da marzo. Sembra questa la decisione del governo, e difficilmente sarebbe stato possibile muoversi diversamente. Infatti il provvedimento rappresenta, per portata e per durata, un unicum nel panorama europeo e non sarebbe facile giustificare un ulteriore prolungamento.

È chiaro che l’interrogativo maggiore riguarda gli impatti del suo venire a meno: ci sarà uno ondata di licenziamenti finora congelati o la massiccia riduzione dei contratti a tempo determinato ha già ridotto sufficientemente i costi delle imprese?

Sappiamo infatti che sono oltre 300 mila gli occupati a tempo determinato in meno tra febbraio e agosto 2020 a causa del non rinnovo di molti contratti, scelta che le imprese hanno percorso per tagliare sul costo del lavoro.

Sono diversi gli elementi che possono essere analizzati per provare a prevedere quello che accadrà, ma ancor più interessante è cercare di capire le ragioni che portano il sindacato a prevedere, come fatto in questi giorni dalla Cgil, oltre un milione di posti di lavoro persi.

Niente normalità

Il primo elemento riguarda la situazione di totale incertezza relativamente ai prossimi mesi. I Paesi europei sono nel mezzo di una seconda ondata epidemica che al momento non ha generato importanti stop dei processi produttivi ma nessuno può dire se questo accadrà già a partire dalle prossime settimane.

E qui emerge tutta la miopia di aver prorogato il blocco dei licenziamenti, che poteva aver senso nella fase iniziale dell’emergenza.

Pensare che sarebbe arrivato presto un momento in cui saremmo tornati ad uno scenario economico pre-Covid in cui le imprese non avrebbero avuto bisogno di ristrutturazioni che spesso implicano licenziamenti è stata una utopia la cui distanza con la realtà era evidente fin dall’inizio.

Tale scelta sembrava presupporre un termine della pandemia entro l’anno e quindi la presenza di un vaccino, cure ecc. E invece ci si ritrova oggi a prevedere uno sblocco della possibilità di licenziare proprio in un momento (gennaio) che potrebbe coincidere con il picco della seconda ondata della crisi pandemica e quindi economica.

Una tempesta perfetta che forse non sarebbe stata evitata, ma che poteva essere mitigata dalla possibilità per le imprese già nel secondo semestre dell’anno di ripensare la loro struttura organizzativa, i loro mercati, i loro prodotti, con tutto quello che questo spesso drammaticamente comporta.

Pensare di intraprendere azioni del genere all’interno di un contesto di forte emergenza è altrettanto utopico, lo stress al quale saranno sottoposte le imprese, vittime di una doppia crisi in poco tempo, le condurrà molto probabilmente a licenziamenti rapidi rimandando al futuro la riprogettazione. 

I dimenticati

In uno scenario del genere si pone poi un ulteriore problema altrettanto importante. Da un lato abbiamo una quota notevole di occupati a termine che si trovano da mesi a cercare, senza risultati, un lavoro.

Dall’altro avremo una nuova quota di lavoratori vittima dei licenziamenti che probabilmente hanno fatto diversi mesi di cassa integrazione a partire da marzo e che si è tradotta in una sostanziale inattività. Inattività che poteva essere una occasione di formazione e di riqualificazione professionale che avrebbe permesso a lavoratori con competenze ormai obsolete di avere maggiori opportunità nel rispondere alla domanda di lavoro delle imprese, laddove ci sarà.

Su questo fronte nulla è stato fatto, e i fondi di Sure sono già di fatto esauriti nel pagare la cassa integrazione gia erogata nei mesi scorsi.

È stato previsto il Fondo Nuove Competenze con il quale le imprese potrebbero (dalla norma non è chiaro) finanziare il costo delle ore di lavoro impegnate per la formazione, ma ad oggi non è ancora stato pubblicato il decreto attuativo e quindi resta tutto sulla carta. 

Con buona probabilità quindi ci si troverà a gennaio con lavoratori che hanno passato gli ultimi mesi in cassa integrazione che verranno licenziati all’interno di mesi di profonda crisi dettata dalla seconda ondata pandemica.

La pressione sulle risorse per i sussidi di disoccupazione sarà forte e semmai qualche impresa vorrà cercare lavoratori non ci saranno dei servizi per il lavoro che potranno aiutarla perché i Centri per l’impiego arrancano.

Lo scenario è cupo e non sembra esagerato a guardare i fatti, c’è da augurarsi che tutto quello che può essere messo in campo per evitare una esplosione incontenibile dei contagi venga fatto al più presto. 

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