Sostiene Enrico Letta che la sua scelta di “correre” per il collegio uninominale di Siena senza il simbolo del Partito democratico è dettata dalla volontà di «privilegiare lo spirito di coalizione». Non sono in grado di giudicare se e quanto quello spirito aleggi e volteggi su Siena e sulla coalizione, ma vedo alcuni inconvenienti di quella scelta.

Certamente, Letta non si vergogna, come sostengono giornali e commentatori di destra, del suo partito in quanto tale, ma in qualche misura vuole segnare una distanza fra il Pd e la faccenda brutta del Monte dei Paschi. Però, non è questa la fase, anche se lo volesse fare, in cui può permettersi di criticare i dirigenti, i candidati, gli ideologi (sic) del Pd.

Tuttavia, credo che qualche cenno critico mirato sarebbe utile. Ad esempio, a Bologna ne hanno già fatte di tutti i colori, in occasione delle primarie e nella scelta delle candidature al consiglio comunale. Non essendoci rischi per la vittoria del candidato del partito, qualche parola critica relativamente alle carenze di democrazia e democraticità di un partito che si definisce “democratico” non sarebbe soltanto doverosa, ma anche utile.

Una questione di spirito

Prendo sul serio l’affermazione di Letta sullo spirito di coalizione, ma vedo in giro molte interpretazioni diverse di questo spirito. Le traduzioni concrete sembrano ispirate non a una meditata visione di fondo e di lungo periodo, a una vera strategia politica, ma all’opportunismo di vantaggi immediati: un pugno di voti in più.

Di qui la moltiplicazione di liste dei più vari tipi per le elezioni amministrative con l’obiettivo di “pescare” qualche elettore/trice in aree che il Partito democratico con le sue proposte non raggiungerebbe mai. Spesso, ed è grave, neanche tenta di raggiungere.

Quelle variegate liste non costituiscono affatto un modo positivo e efficace di alimentare lo spirito di coalizione. Al contrario, accettano e registrano la frammentazione delle ambizioni particolaristiche, non tanto della società “civile” quanto di molti spezzoni del ceto politico che cerca di stare a galla senza produrre idee e senza rinnovarsi. In questo modo, nessun rinnovamento può essere conseguito neppure dal Pd.

È augurabile che a Siena il segretario del Pd spieghi con dovizia di particolari quale sarà la coalizione da costruire nel periodo che ci separa dalle prossime elezioni politiche. In prospettiva sistemica, però, dovrebbe preoccuparsi soprattutto di rafforzare, trasformandolo significativamente, il suo Partito democratico. Per ragioni oggettive, vale a dire, l’essere un partito e il potere contare su una relativamente buona percentuale di voti, toccherà proprio al Pd di svolgere il compito impegnativo di coalition-maker.

Finora non ho visto nessuna indicazione che né il segretario né i suoi collaboratori né i capicorrente abbiano iniziato a interrogarsi su come costruire una coalizione progressista e europeista. Persino l’ineluttabilità di un rapporto serio e solido con il Movimento 5 stelle non è ancora stata declinata nei suoi lati positivi e in quelli negativi, che pure esistono.

Mi pare che sia tuttora assente la necessaria riflessione sulla ristrutturazione del sistema dei partiti che molti avevano annunciato come uno degli effettivi positivi della “sospensione”, non della politica, ma della competizione fra partiti, derivante dal governo Draghi. Infine, non resta che chiedersi se lo “spirito della coalizione” si manifesterà in occasione del passaggio più importante, forse addirittura conclusivo, di questa legislatura: l’elezione del presidente della Repubblica. Immagino che Letta stia già invocandolo poiché l’esito di quella elezione segnerà anche la prossima legislatura. O no?

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