Silvio Berlusconi è stato un gigante della storia recente del nostro paese. Un tycoon brillante dalle ambizioni smisurate che negli ultimi trent’anni ha sconvolto la politica, la cultura e la società italiana come nessun altro aveva mai fatto prima, almeno dal dopoguerra in poi. Fondando imperi televisivi ed editoriali, creando partiti, diventando più volte premier, il leader ha definito gli standard della seconda repubblica, condizionando la vita e l’immaginario di un’intera nazione.

Il titanismo del suo profilo pubblico è dunque un assioma, e con la sua morte non è retorica affermare che un’era si chiude per sempre: Berlusconi è stato un unicum e non lascia alcun erede plausibile. Né in politica né sulla scena mediatica. Persino gli effetti della sua scomparsa non saranno affatto banali, e per trovare nuovi equilibri alla sua assenza (nel governo in primis) serviranno mesi. Forse anni.

Detto questo, l’immenso potere esercitato per decenni da Berlusconi è stato – per l’Italia – una colossale iattura. Arci-italiano fino al midollo, il Cavaliere è sceso in campo nel 1994 per salvare le sue aziende dal fallimento, promettendo una rivoluzione liberale che non ha mai neanche iniziato. Ha edificato Forza Italia insieme a Marcello Dell’Utri, poi condannato per concorso esterno alla mafia, e per primo ha sdoganato i razzisti della Lega e i post-fascisti legittimandoli come interlocutori politici accettabili.

Il conflitto di interessi

Questo l’unico «miracolo italiano» che gli è davvero riuscito. Berlusconi ha incarnato il conflitto di interessi ed è stato un populista ante-litteram, che per anni ha urlato alla pancia di tele-cittadini (con odi al maschilismo e agli evasori fiscali, insulti agli avversari politici e ai giudici) sfruttando le sue doti da imbonitore. Ha fatto anche cose buone? I generosi menzionano come sia riuscito a mettere fine al monopolio della Rai, e a tenere ancorato il centrodestra all’europeismo e l’atlantismo, prima della fatale sbandata per Putin e le democrazie illiberali.

Per il resto i suoi governi non hanno deluso: se non ha mai abbassato le tasse, ha accentuato le diseguaglianze e contribuito al declino della nazione. Nel contempo fattosi Caimano ha travolto le istituzioni democratiche con una serie infinita di strappi che hanno contribuito a indebolire la nostra democrazia e i contrappesi dei suoi poteri.

Leggi scritte ad personam per salvarsi dai processi, un parlamento umiliato dai suoi eccessi sessuali (immortale il voto su Ruby «nipote di Mubarak»), il magnate ha violentato in maniera sistemica regole scritte e consuetudini di un paese che l’ha amato e odiato senza compromessi.

Il suo passaggio è paragonabile a quello di un ciclone che lascia macerie e retaggi che influiranno anche dopo la sua morte: una pubblica opinione spaccata in due e un abbassamento dell’etica comune che ha allontanato l’Italia dai canoni occidentali. Una responsabilità che pesa come un macigno: anche in questo, Berlusconi è stato ciclopico. 

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