Diffidate dei dettagli: gli storici dovranno lavorare molto su una figura come Berlusconi, nei decenni a venire, sull’imprenditore e il politico, documenti alla mano. Per ora noi possiamo tracciarne i contorni essenziali. Berlusconi è stato l’anti Gramsci.

Colui che ha posto fine all’egemonia culturale della sinistra. Al punto da imperniare di sé, della sua visione, perfino gli avversari, anche i più ostili (si pensi a Beppe Grillo). Certo, favorito in questo dallo spirito dei tempi, l’individualismo mercatista. Ma lui quello spirito l’ha esaltato fino a farne il tratto nazionale. Beninteso, all’inizio non c’era nulla di male a ingaggiare una battaglia contro il monopolio Rai.

Fu anzi un merito. Il problema è che, per il suo successo, l’alternativa berlusconiana è assurta a nuova egemonia. E così l’Italia agli occhi della cultura mondiale non è stata più il paese di Gramsci e Pasolini, o di Fellini, ma di Berlusconi. Curiosa nemesi.

Come in un perfetto schema gramsciano, dopo la battaglia culturale Berlusconi ha vinto quella politica. E qui non solo in Italia. È stato il primo in Occidente, fra i nuovi leader populisti, a fondare un partito personale. Di più. Il primo a praticare la democrazia illiberale: l’attacco ai poteri indipendenti, dall’informazione alla magistratura, in nome di una connessione fondativa fra leader e popolo. E ancora.

Si paventa oggi, in Europa, un’alleanza fra i popolari e l’estrema destra. Anche di questo Berlusconi è stato il pioniere, in Occidente. Fra gli italiani forse solo Mussolini, nel secolo scorso, ha avuto un impatto simile sulla politica mondiale. Ma se Berlusconi è stato un vincente sul piano culturale e politico, oltre che per quel che riguarda le fortune personali, ebbene egli ha perso la battaglia, per gli italiani, più importante. Non è riuscito a far progredire il Paese.

Invero proprio con lui il declino si è acutizzato, amplificato. Berlusconi era sceso in politica promettendo un nuovo miracolo italiano. E abbiamo avuto l’opposto: un paese più povero e arretrato rispetto agli altri partner europei. Perfino meno libero.

È stata questa la conseguenza della sua stessa impostazione: meno etica pubblica, e «meno tasse per tutti», meno investimenti nei beni collettivi, a cominciare da istruzione e ricerca. E poi un capitalismo corporativo e politico.

on era di questo che aveva bisogno l’Italia. Specie dopo l’entrata nell’euro, noi avremmo dovuto cercare di avvicinarci agli standard dei paesi più avanzati d’Europa. Berlusconi ci ha messi invece sulla strada opposta: una che conduce alla marginalità, all’immiserimento economico e civile. È l’esatto contrario della sua narrazione.

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