Le elezioni presidenziali statunitensi hanno messo in scena un palcoscenico italiano molto colorito, congeniale a una mai metabolizzata voglia di avventura, di sfidare le norme.

Opinionisti nei talk show e sulle pagine dei quotidiani nazionali hanno liberato le loro più ataviche passioni futuriste – l’insofferenza per le “arcigne” norme costituzionali, la voglia di veder scorrere il sangue e infine un po’ di complice simpatia col quel demagogo di Donald Trump che rappresenta al meglio questa nostra italica voglia eversiva.

La conoscenza approssimativa e un tanto al chilo ha aiutato a mettere in scena questa recita.  Così, per esempio, si è sentito il lamento per una costituzione, quella statunitense, che è vecchia e impossibile da cambiare – ignorati o dimenticati i numerosi emendamenti andati in porto.

Si è lamentata la lentezza del conteggio – ignorando che le procedure per il voto per posta richiedono di prestare attenzione al timbro di arrivo e, se necessario, a quello di spedizione prima di aprire la busta e conteggiare il voto (prima di dichiarare un voto per posta valido). 

Si è detto che gli Stati Uniti non hanno una vera e propria garanzia del diritto di voto perché mentre «noi riceviamo la scheda elettorale a casa, loro devono andarla a ritirare all’ufficio elettorale» – mai idiozia maggiore si è sentita senza che nessuno alzasse la manina per intervenire e correggere l’esperto.

Da “noi” l’ufficiale del comune recapitava a casa la scheda elettorale fino a due o tre decenni fa. Per risparmiare, ora abbiano schede cumulative che, quando sono completare in ogni parte, devono essere sostituite con degli esemplari nuovi che ciascuno di “noi” deve ritirare personalmente, andando all’ufficio elettorale.

Da “loro” si deve uscire di casa per iscriversi nelle liste elettorali una volta sola, la prima che si decide di andare a votare – da quel momento non vi è alcun bisogno di fare altro. Le regole, questi noiosi orpelli!

Per questo, trapela un certo piacere a vedere il presidente Trump che le sfida – sono così formali, noiose e, soprattutto, funzionali allo status quo che, alla fine, il populista che rifiuta di arrendersi alla sconfitta finisce per piacere.  In fondo lui osa! Lui si infuria; lui mette in scacco il bizantino sistema elettorale – viva la libertà!  

Visto che si tratta di contestare un vetusto sistema elettorale costruito per contenere la plebe e la massa, una qualche giustificazione questa rivolta inscenata da Trump ce l’ha.

Dopo tutto, potevano pur pensarci prima questi zotici americani a cambiare un sistema che ha favorito Trump!  Vi è negli esperti che si sono succeduti in questi giorni il rimasuglio di un sentire che alcuni decenni di politica costituzionalizzata non è valso a sciogliere.

Chiamiamo questo sentire con un barbarismo - “avventurismo” – che è un modello di pensiero e quasi un’etica della insofferenza verso quel che tiene la materia, verso quel che non fa sollevare la forza tellurica della masse, verso appunto le norme, le regole costituzionali, che fanno tanto arrabbiare Trump.

Ecco che allora si avverte un po’ di piacere da parte dei nostri osservatori, sempre tentati dall’estetica dell’energia primigenia che scuote la normalità. 

L’allocuzione “democrazia costituzionale” è così burocratica e indigesta! E poi non fa notizia, non fa pulsare le tempie – certo, l’acido fenico che si sprigiona dalla folla di festanti per Trump non ha un odore gradevole. Ma è bello ammirarne la produzione stando in poltrona a guardare lo spettacolo delle masse che nel nome del popolo vero, non quello noioso che crede nei lacci istituzionali, si mobilitano a portare Trump in tribunale piuttosto che concedere la sconfitta.

Tutto questo nell’Italia che ha generato Cesari di piazza e di impero piace assai.

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