Sconfessato dai pretoriani del partito, che sarebbe il suo, Crosetto rivendica una sua diversità («io sono diverso»). Si suppone non alludesse alla sua stazza, ma al proprio profilo culturale e politico. Ma egli non era il cofondatore di Fratelli d’Italia a fianco di Meloni? Persino nell’iconografia: il gigante e la fanciulla.

A ben riflettere il suo caso va ben oltre l’episodio che lo ha originato (le «farneticazioni» del generale Vannacci, parola dello stesso Crosetto). Esso squaderna più contraddizioni. La prima l’abbiamo già enunciata. Lo ha fatto lui stesso. Ovvero la sua rivendicata alterità rispetto al partito che ha fondato.

È la (consapevole?) ammissione di una sconfitta. Manifestamente la cultura (si fa per dire) di quel partito è quella semmai dei suoi contestatori. Una mentalità e un linguaggio che non si fanno scrupolo di civettare con la visione del “mondo al contrario” orgogliosamente proposta nella “produzione letteraria” di Vannacci. Intessuta di razzismo, sessismo, omofobia.

Crosetto dovrebbe riflettere non tanto sulla sconfessione della sua censura al generale, ma sulla sconfessione della sua scommessa politica. Gli è andata bene sul piano elettorale e personale (ha conquistato una poltrona ministeriale di peso), ma la sua è una palese sconfitta culturale e politica. Di estrazione democristiana, a lungo in FI, si illudeva che fosse agevole la metamorfosi di Fdi quale partito moderato, conservatore, liberale.

Quasi che le radici storiche e ideologiche non avessero peso. Avrebbe fatto bene a considerare che Fdi ha una doppia matrice: quella più antica del Msi e quella più recente della rottura della Meloni con Fini quando egli si spinse più avanti esattamente nella discontinuità con il neofascismo e nella svolta liberal-conservatrice. Dunque, l’impresa politica non è riuscita a Crosetto.

Come non bastasse, di suo, ovvero dei suoi lunghi trascorsi in FI, egli ha portato in dote un corposo conflitto di interessi. Come Domani ha ben documentato. Con il passaggio, senza soluzione di continuità, da referente della lobby delle industrie militari a ministro della difesa.

Il caso Crosetto è solo il più recente episodio rivelativo delle contraddizioni ideologiche e politiche che attraversano la destra al governo. Contraddizioni che, su un altro delicato fronte, quello della giustizia, fanno capo a Nordio. Sedicente liberale e garantista, ma sempre pronto e prono a eseguire ordini che vanno in opposta direzione.

Anch’egli incurante delle frequenti sconfessioni dei suoi sodali di governo, premier compresa. Una schizofrenia che si risolve in una giustizia dal doppio binario: implacabile con i poveri cristi, compiacente con i potenti. Una giustizia di classe. È lo spaccato di una coalizione di governo cui riesce di assemblare il peggio delle tre destre rappresentate da Lega, di Fdi e di FI: suprematismo, machismo, politica al carro degli interessi.

Un impasto che, del resto, segna l’incipit dell’ascesa politica della Meloni, la quale ruppe con Fini (cui tutto doveva), diciamo così, da destra, proprio quando egli trovò il coraggio di ribellarsi a Berlusconi. Un mix di estrema destra e continuità berlusconiana che tuttora rappresenta la cifra della maggioranza di governo. Crosetto se ne faccia una ragione. Chi è causa del suo mal...

 

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