Sull’austerità Elly Schlein e Giorgia Meloni la vedono allo stesso modo: fa male al paese. Da qui le critiche alla decisione della Bce di alzare ancora i tassi. Non si tratta di una polemica italiana ma di un dibattito tra economisti che dura da una vita: è meglio stoppare l’inflazione o far correre l’economia? L’estremizzazione tra i due poli è sempre un errore. Basta guardare alla Turchia di Erdogan che ha mandato giù i tassi provocando un’impennata dell’inflazione fino all’80% pur di fare crescita e occupazione. Ora è stato rieletto e ha imboccato la strada opposta: tassi al 15 per cento, stretta brutale. L’altro versante della medesima storia è il decennio d’austerità che ha strozzato le economie europee dove si innesta anche l’antipatia della pubblica opinione per il salvastati: abbiamo visto cosa ha provocato in Grecia (e non solo), salvando le banche ma affamando la popolazione. Anche su questo il dibattito è perenne: c’è chi dice che se non salvi le banche mandi in bancarotta tutto il paese e chi invece sostiene che vengono “salvati solo i ricchi” e via polemizzando. Paradossalmente ci è voluta la pandemia per sbloccare la politica “frugale” a cui è seguito il Pnrr.

Come si vede tutto è connesso e controverso. Sui principi economici si disserta da un paio di secoli senza trovare la quadra. Mi perdonino gli economisti: è la sintesi di ciò che appare alla maggioranza dei non iniziati. Ne consegue che per la politica si tratta di dosaggio: da una parte occorre allentare la stretta per favorire la crescita (come il quantitive easing usato da Usa e Mario Draghi alla Bce); dall’altra controllare i tassi per non innescare troppa inflazione. Ci si muove con cautela un po’ in una direzione, un po’ nell’altra. È come se l’economia dovesse passare continuamente tra Scilla e Cariddi, tenendo la barra lontana dai due estremi, a seconda delle condizioni del momento.

Per l’Italia esiste un problema supplementare: l’enorme debito accumulato che non piace ai nostri partner europei che temono di doverlo pagare loro prima o poi. Ma l’aumento del debito di altri stati ci sta rendendo le cose più facili: da qui l’alleanza con la Francia sulla revisione del patto di stabilità.

A questa riforma è strettamente legato anche il completamento dell’unione bancaria, rimasta in sospeso dal governo Letta che l’aveva rimessa in agenda. Sulla terza rata la questione è banale: spostare tutto dal Mef al piccolissimo ministero di Fitto ha reso le cose lentissime. Si è fatto per bassa fiducia interna nella coalizione.

Ora Giorgia Meloni ha scelto una strategia di “approccio a pacchetto”: le nuove regole del patto di stabilità, il completamento dell’unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia (Mes) si dovrebbero discutere assieme. L’Italia vuole avere più carte da giocarsi per pesare al tavolo dei consiglio europeo. È tardi per stracciarsi le vesti: malgrado la commissione, tutto è solo materia di duro ed ostinato scontro in consiglio.

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