«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali». Domani, 10 dicembre, alle 18, su proposta di Amnesty International Italia approvata dall’ente Parco archeologico del Colosseo, lo storico monumento sarà illuminato dalla scritta, in giallo, della prima parte dell’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, in occasione del 75esimo anniversario della sua proclamazione. In altre 16 città italiane saranno illuminati monumenti o palazzi istituzionali.

Nata come faro di speranza dalle ceneri della Seconda guerra mondiale, la Dichiarazione si proponeva di instaurare un sistema globale di tutele, riconoscendo diritti “uguali e inalienabili” a tutte le persone.

È vero, alla sua stesura e alla sua adozione contribuì una minoranza di stati, dato che molti popoli erano ancora sotto il colonialismo. Anche oggi, c’è chi ritiene che il sistema contemporaneo dei diritti umani risenta di quel progetto originario, liberale e occidentale: un sistema che privilegerebbe i diritti civili e politici a scapito di quelli economici, sociali e culturali.

Tuttavia, la Dichiarazione non fu solo un’affermazione delle grandi potenze dell’epoca, né tantomeno la lista dei “diritti dei vincitori”. Nazioni più piccole influenzarono il testo finale, impegnandosi affinché i diritti umani fossero garantiti a tutti e tutte, «senza distinzioni». La delegazione egiziana lottò affinché venisse confermata l’«universalità» dei diritti umani, mentre le delegate di India, Brasile e Repubblica Dominicana si adoperarono per affermare l’uguaglianza dei diritti di uomini e donne.

Una volta approvata, la Dichiarazione ha preso vita, forma e sostanza, ispirando iniziative contro la colonizzazione e dando impulso alla creazione di strumenti giuridici per la promozione e la protezione dei diritti umani in Europa, nelle Americhe e in Africa. La forza dei suoi ideali ha superato i confini di controllo delle nazioni coinvolte nella sua stesura.

I suoi 30 articoli sono diventati la bussola che ha indicato la direzione a leadership illuminate, a movimenti della società civile, a singole persone che hanno compiuto gesti coraggiosi in suo nome, conquistando diritti e dunque limitando i poteri degli stati.

Un momento complicato

Non dobbiamo nasconderlo: in occasione dei 75 anni della Dichiarazione, ci stiamo misurando con livelli record di conflitti brutali, con una forte polarizzazione politica, con leader autoritari, bulli e populisti che assumono sempre più potere, con minacce all’ambiente, ai diritti delle donne e a quelli dei migranti e dei rifugiati.

Imperano i doppi standard, che condannano o condonano, solidarizzano o ignorano a seconda di miopi e ciniche valutazioni politiche. Impazzano narrazioni aberranti, secondo le quali i diritti non sono innati ma vanno meritati “comportandosi bene” oppure non sono disponibili per tutti (“prima noi”) o, ancora, se si riconoscono a un gruppo si tolgono a un altro.

Ragioni per sperare

Ma se utilizziamo una lente temporale più ampia rispetto a quella degli ultimi anni, il bilancio è sì pieno di tonfi ma anche ricco di trionfi.

Molti dei diritti proclamati nel 1948, con grande impeto morale ma all’epoca nessuna protezione giuridica, sono oggi riconosciuti da convenzioni, patti e trattati che obbligano gli stati che li hanno ratificati a rispettarli e a rispondere del loro mancato rispetto. L’impunità, architrave del sistema delle violazioni dei diritti umani, è stata scalfita da importanti sentenze, a livello nazionale e internazionale. Esiste, da 25 anni, la Corte penale internazionale.

Grazie anche all’innovazione dei mezzi di comunicazione e al citizen journalism, ormai nessun governo può agire nell’ombra e nel silenzio. L’affinamento delle tecniche di ricerca e lo sviluppo dell’antropologia forense consentono di raccontare a ritroso la storia delle violazioni dei diritti umani e di accompagnare la ricerca della giustizia.

In definitiva, la Dichiarazione ancora oggi dà fiducia e ispirazione. Soprattutto, ottimismo. È la testimonianza vivente che una visione globale dei diritti umani è possibile, fattibile e realizzabile.

Sarà poi compito di quella generazione di ragazze e ragazzi che sta terminando il percorso scolastico e che riempie sempre più le strade del mondo chiedendo giustizia, fine dell’oppressione, del patriarcato e delle guerre, scrivere nel 2048 una nuova Dichiarazione, costruita da molte voci, soprattutto del sud del mondo.

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