L’aggressione russa all’Ucraina produce effetti nefasti su diversi piani. L’idea che la resistenza ucraina rafforzi la democrazia europea si sta rivelando ingenua quanto superficiale, perché accade esattamente il contrario. 

Lo ha dimostrato in maniera netta e tagliente il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki in una conferenza all’Università di Heidelberg.  

Con l’arroganza di chi si sente le spalle coperte dal nuovo, centrale, ruolo geopolitico assegnatogli dalla guerra e certificato dall’America, il premier polacco ha sferrato un ulteriore colpo all’Unione europea.

Ha rivendicato, senza tanti giri di parole, la sua visione sovranista, secondo la quale sono gli stati nazionali ad avere la primazia rispetto all’infrastruttura comunitaria.

Caricaturizzando l’Ue come una «utopia tecnocratica, [..] o un neo-imperialismo», ha ribadito che il diritto comunitario deve sottostare alle norme nazionali. E, con un sovrappiù di arroganza, ha rigettato il richiamo rivolto alla Polonia dalla Commissione europea per le gravi violazioni dello stato di diritto, qualificandole come ingerenze indebite: non si può «colpire gli altri con la frusta dei ‘valori europei’ senza concordare sulla loro definizione o capire quali cambiamenti devono essere apportati da determinati paesi».

Morawiecki sembra dimenticare che la Polonia, nel momento in cui chiedeva l’ingresso in Europa, accettava sia i criteri di Copenaghen che riguardano appunto le condizioni minime di osservanza e garanzia delle libertà civili e politiche, sia il Trattato costituzionale. 

Proprio quei valori su cui si fonda – si deve fondare – il patto tra le nazioni europee, e che sono stati definiti ben prima dell’allargamento ad Est del 2004.

Se ora il governo polacco li trova indigeribili, può sempre seguire l’esempio britannico. E non sarebbe la soluzione peggiore perché si eviterebbe il rischio di avere una Europa con un baricentro spostato dal Reno alla Vistola, in un’area politica dove i valori liberali e democratici hanno avuto poca occasione di maturare e sedimentarsi.  

Infine, a riprova di come il conflitto attuale stia stravolgendo il significato originario della costruzione europea, vale a dire la necessità di chiudere le ferite della guerra mettendo al bando i nazionalismi, il premier polacco, dopo quasi ottant’anni, ha di nuovo chiesto riparazioni di guerra alla Germania.  Tutto il contrario della logica che ispirava il Manifesto di Ventotene.

Di fronte a queste provocazioni come si pone il governo Meloni? Anni fa difese il governo polacco  – e ungherese – dalle reprimende dell’ Ue usando termini simili a quelli usati Marowiecki, parlando di «una spranga di metallo da calare brutalmente sulle popolazioni ungheresi e polacche».

Ora, arrivata la governo,  Meloni si identifica nella tradizione filo-europea del nostro paese, oppure vuole seguire i suoi partner polacchi?

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