La Camera dei rappresentanti americana ha votato a larga maggioranza un progetto di legge che appena sarà approvato dal Senato permetterà al neo-presidente di decidere restrizioni finanziare contro l’Icc e i suoi giudici, e in genere contro qualsiasi tribunale internazionale non riconosciuto da Washington si permetta di molestare cittadini degli Usa o di paesi alleati
Con Trump alla Casa Bianca la guerra di Gaza diventerà da subito la prima linea nel conflitto tra la forza estranea alla legalità e la legalità priva di forza, uno scontro che segnerà gli anni venturi (ne scrive da tempo Piero Ignazi, anche su queste pagine).
Il primo atto del nuovo presidente sarà sanzionare la Corte penale internazionale (Icc) e i suoi magistrati, garantisce Israel Hayom, il quotidiano devoto a Netanyahu il cui editore, Miriam Adelson, è stata tra i più generosi finanziatori di Trump.
L’Icc ha la colpa di aver incriminato il vertice israeliano per crimini contro l’umanità. Di conseguenza giovedì la Camera dei rappresentanti americana ha votato a larga maggioranza un progetto di legge che appena sarà approvato dal Senato permetterà al neo-presidente di decidere restrizioni finanziare contro l’Icc e i suoi giudici, e in genere contro qualsiasi tribunale internazionale non riconosciuto da Washington si permetta di molestare cittadini degli Usa o di paesi alleati.
Le misure previste vanno dal blocco di conti correnti e carte di credito al rifiuto di visti; e Washington pretenderà che suoi alleati (dunque anche Roma) neghino alla Corte qualsiasi forma di collaborazione.
Una seconda direttrice dell’attacco trumpista alla legalità internazionale punta sulla Corte Onu di giustizia (Icj), l’istituzione che l’anno scorso contestò a Israele “acts of genocide” nella guerra di Gaza. Un recente rapporto della ong americana Human Rights Watch dettaglia quegli “acts of genocide”. Poiché il più generoso finanziatore di Hrw è George Soros, Elon Musk e l’ambasciatore israeliano negli Usa ora lo accusano di sovvenzionare «organizzazioni che sostengono Hamas».
L’impudicizia di queste argomentazioni viene riproposta nei rapporti di think-tank che fanno risalire i verdetti dalla Corte Onu all’input della nota cospirazione islamico-sino-russo-iraniano-eccetera (le sentenze in questione furono prese, pressoché all’unanimità, da giudici in maggioranza espressi da stati di diritto liberali).
Tutto questo agitarsi tradisce le apprensioni di chi, pur avendo la forza, teme che lo scontro con la legalità internazionale non sia tanto impari quanto appare. Ormai è impossibile bloccare l’istruttoria della Corte penale internazionale, destinata semmai a ingigantire. Il cessate-il-fuoco permetterebbe al procuratore indagini sul campo.
In ogni caso l’Icc, come previsto dal suo statuto, riceverà materiale da agenzie Onu e organizzazioni non governative, anche palestinesi. L’elenco degli imputati crescerà.
Se riuscisse ad offrire una rappresentazione attendibile della guerra di Gaza, l’Icc aiuterebbe tanto le opinioni pubbliche arabe e israeliane a prendere consapevolezza dei crimini commessi dai rispettivi campioni, quanto il diritto internazionale a riformulare questioni cruciali ma tuttora sfuocate.
A rigore le operazioni compiute dai soldati israeliani nel nord della Striscia si chiamano "pulizia etnica”: e così le definisce, tra gli altri, l’ex capo di stato maggiore Moshe Yaalon. Ma quando fu elaborato il codice di riferimento della Corte e si pose il problema di denominare “pulizia etnica” una specifica fattispecie di reato, alcuni stati, tra i quali Israele, glissarono. Così oggi la giustizia internazionale può punire la “pulizia etnica” solo applicando un reato onnicomprensivo, “genocidio”, che colpisce la distruzione anche parziale di un gruppo umano.
Ma genocidio e pulizia etnica perseguono obiettivi diversi. Il primo ha natura strettamente ideologica e punta a cancellare un popolo; il secondo vuole soprattutto costringerlo con il terrore ad abbandonare un territorio militarmente sensibile. Da qui una confusione semantica sfruttata da tanti per gli scopi più diversi (quasi inascoltati i tentativi di fare chiarezza offerti da Liliana Segre).
Il diritto internazionale umanitario è una legalità in fieri, col tempo troverà una formulazione meno ambigua e risolverà un secondo ordine di problemi: il reato di genocidio prevede che sia provata l’intenzionalità. Stando alla stampa irlandese il governo di Dublino, mentre si appresta ad associarsi alla richiesta sudafricana di perseguire il governo israeliano per crimini contro l’umanità, suggerisce una nuova interpretazione di “genocidio”: se lancio bombe da una tonnellata su attendamenti di profughi per uccidere un capetto di Hamas, distruggo reti idriche, devasto la maggior parte degli ospedali e commetto urbicidi, non posso non sapere che il mio modo di guerreggiare produce massacri e pulizia etnica. Di conseguenza sono colpevole di genocidio.
Israele ha accusato Dublino di antisemitismo ma il governo irlandese è un dignitoso centro-destra che oggi non si sa bene dove posizionare nella geografia politica in corso di definizione. Unico stato europeo a fare propria la richiesta di processare Israele, e allo stesso tempo tra i più determinati a opporsi all’imperialismo russo, l’Irlanda sembra praticare controvento quel che tanti nel continente si limitano a declamare. E difendendo a testa alta la legalità internazionale e i valori dell’universalismo liberale, dimostra che c’è ancora un’Europa in Europa - anche se ormai bisogna cercarla in mari a noi remoti, lontano dai brodi di moderatismi balbettanti, destre opportuniste, sinistre incerte.
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