La notizia del tentativo illegale di Trump di usare il dipartimento di Giustizia per rubare le elezioni aggiunge un nuovo strato alla storia ininterrotta di un leader sconfitto che farebbe qualunque cosa pur di rimanere al potere. Le menzogne totalitarie, i colpi di stato e il totale disprezzo della Costituzione fanno parte della storia del fascismo, ma non così tanto di quella degli autocrati populisti. Almeno così stavano le cose fino a qualche tempo fa. Con Trump vediamo una nuova generazione di leader populisti estremamente vicina al fascismo: gli aspiranti fascisti.

Una differenza fondamentale tra populismo e fascismo è che per i populisti i risultati elettorali reali contano. Al contrario, il fascismo implica il potere permanente, senza tenere conto dei risultati delle urne. Il populismo afferma l’idea autoritaria che una sola persona possa personificare pienamente “il popolo” e la nazione, ma questo deve essere confermato dalle procedure elettorali.

La manipolazione

Mentre il fascismo si crogiolava nelle menzogne, il populismo ha rispettato la verità delle urne. Questo non significa che rispetti sempre la democrazia, in realtà spesso la manipola. Ma trae il potere e dipende dall’integrità del sistema elettorale. Questo è il motivo per cui i leader populisti hanno da tempo riconosciuto il valore del rispetto dei risultati elettorali, anche quando sono usciti perdenti nel procedimento democratico. Tuttavia questa distinzione inizia a sfumare. In questo senso il presidente Donald Trump è stato un apripista per gli autocrati globali. In particolare rifiutando il risultato delle elezioni e abbracciando la “grande bugia” della frode elettorale, Trump ha rappresentato una svolta storica nella politica populista, ha stimolato e ispirato altri, proprio come i dittatori fascisti prima di lui.

Peron e il peronismo

Consideriamo il caso di Juan Perón e il peronismo, il movimento che ha creato in Argentina. Perón è stato l’uomo forte di una dittatura della giunta militare che ha regnato dal 1943 al 1946. Pur essendo salito al potere con la forza, nel 1943, Perón ha incoraggiato e partecipato a elezioni democratiche libere nel 1946. Dopo la sconfitta globale del fascismo alla fine della seconda guerra mondiale, il fascismo, i colpi di stato e le dittature militari erano diventati tossici. Così gli ex fascisti e i militanti delle dittature hanno cercato di riconquistare il potere attraverso mezzi elettorali democratici.

All’inizio del dopoguerra i politici come Perón compresero che le elezioni costituivano una fonte fondamentale di legittimità politica. Perón ha percorso un tracciato populista che si proponeva come una terza via oltre il capitalismo e il comunismo. Ha vinto le elezioni presidenziali del 1946, diventando il primo leader populista della storia a salire al potere.

Il populismo peronista prendeva alcuni elementi dal fascismo. Era anti-liberale e ha creato un culto messianico della leadership. Denunciava le élite al potere, ostacolava il giornalismo indipendente e ha promosso una profonda avversione per il pluralismo e la tolleranza politica. Tuttavia Perón è stato eletto dal popolo, e quindi è stato distinto dai fascisti.

Come Perón, alla fine degli anni Quaranta e all’inizio degli anni Cinquanta altri populisti latinoamericani, in paesi come Brasile, Venezuela e Bolivia, sono saliti al potere affermando la legittimità dei risultati elettorali. Mantenere il potere dipendeva dalla vittoria alle elezioni reali.

Perón, come i suoi corrispettivi populisti brasiliani, venezuelani e boliviani, era amato. L’estromissione dal potere è avvenuta per colpi di stato, non attraverso le elezioni, che i loro movimenti hanno continuato a vincere.

I leader populisti più recenti, come Silvio Berlusconi in Italia o Hugo Chávez in Venezuela, ripetono lo stesso schema. Hanno evitato affermazioni infondate di frode perché hanno fissato la loro pretesa grandiosa, di incarnare la volontà popolare, sull’idea democratica che le elezioni rappresentano la volontà del popolo. Berlusconi ha perso le elezioni nel 1996 e nel 2006, Chavez invece ha perso il referendum costituzionale venezuelano del 2007 sull’abolizione dei limiti del mandato presidenziale. Entrambi hanno accettato i risultati anche se hanno perso con margini estremamente ridotti. Diversa è la situazione con Nicolás Maduro in Venezuela o Daniel Ortega in Nicaragua che non hanno più a che fare con il populismo, ma con una sorta di regime dittatoriale in cui le elezioni non sono reali e quindi non possono mai essere perse.

I fascisti

In contrasto con la maggior parte dei populisti del ventesimo secolo, molti perdenti autocratici cercano di uscire da una sconfitta elettorale reale o potenziale. Negli anni Trenta, ad esempio, i fascisti come i nazisti tedeschi non riconoscevano alcun valore nel sistema elettorale e lo usavano solo per rivendicare legittimità e leadership quando ne traevano beneficio. Poi, lavoravano per distruggere la democrazia dall’interno.

In effetti, i fascisti credevano che le elezioni e il patriottismo fossero essenzialmente opposti, perché il vero leader non era necessariamente quello che otteneva più voti. Come scriveva Benito Mussolini nella Dottrina del Fascismo nel 1932, «il fascismo si oppone dunque a quella forma di democrazia che equipara una nazione alla maggioranza, riducendola al livello del maggior numero; ma è la forma più pura di democrazia se si considera la nazione come dovrebbe essere dal punto di vista della qualità più che della quantità, come un’idea, la più potente perché la più etica, la più coerente, la più vera, che si esprime in un popolo come coscienza e volontà di pochi, se non addirittura di uno».

Adolf Hitler concordava con questa logica: vedeva la democrazia stessa come “frode” perché i politici eletti correttamente non erano in grado di rappresentare la vera volontà del popolo, che solo il nazismo e lo stesso Hitler incarnavano. Nel Mein Kampf nel 1925 Hitler affermava che i nazisti avevano «il diritto ma anche il dovere di sottolineare nel modo più rigido che qualsiasi tentativo di rappresentare l’idea del popolo al di fuori del partito laburista tedesco nazionalsocialista è inutile e nella maggior parte dei casi fraudolento».

Quando i regimi fascisti in Italia e in Germania sono diventati dittature a pieno titolo, le elezioni non erano più necessarie come fonte di legittimità, perché la volontà del leader ormai era perennemente incarnata nel popolo.

Questa non era solo una situazione europea. Nel 1923 il fascista argentino Leopoldo Lugones aveva equiparato le procedure elettorali alla demagogia, affermando che la dittatura era la risposta all’“elettoralismo”. Il crollo della democrazia argentina era seguito qualche anno dopo, nel 1930, quando il generale Jose F. Uriburu organizzò un colpo di stato militare. Uriburu chiese a Lugones di scrivere la proclamazione della fondazione del suo regime. Critiche simili alle procedure elettorali democratiche e alla necessità di scavalcarle con la volontà del leader sono state presentate dai fascisti di tutto il mondo, dal Brasile e dalla Cina alla Spagna e al Messico.

In sintesi, il fascismo ha negato la natura stessa della democrazia, la legittimità delle procedure democratiche e dei loro risultati elettorali. I sostenitori del fascismo hanno affermato che i voti erano legittimi solo quando confermavano con un referendum la volontà autocratica del loro leader.

I populisti, al contrario, hanno usato le elezioni per sottolineare la propria natura democratica anche quando hanno avanzato altre tendenze autoritarie.

Il confine col populismo svanisce

Queste differenze sono importanti oggi, perché Trump e altri negano la legittimità elettorale dei loro avversari. Leader come Jair Bolsonaro in Brasile, Benjamin Netanyahu in Israele e Keiko Fujimori in Perù usano la falsità dell’inganno sistemico per creare una realtà alternativa in cui possono governare, ora o in futuro, senza procedure democratiche.

Possiamo aspettarci un simile rifiuto della democrazia da un’alleanza populista/fascista tra salvinismo e melonismo o da Viktor Orbán in Ungheria nel caso in cui perda le elezioni del prossimo anno? Bolsonaro ha recentemente affermato che non accetterà i risultati delle elezioni del 2022 nel paese a meno che il sistema di voto non sia modificato per includere le schede cartacee, e in seguito ha ripetuto le sue false affermazioni secondo cui le elezioni potrebbero non essere “pulite”. Bolsonaro ha persino minacciato di non farle nemmeno. La maggior parte dei sondaggi indica che l’indice di non gradimento di Bolsonaro sta salendo al massimo storico e danno Bolsonaro perdente di venti punti su Lula nelle elezioni del prossimo anno.

Quanto più conosciamo i tentativi fascisti del passato di negare il funzionamento della democrazia, tanto più dovremmo preoccuparci delle attuali forme postfasciste e populiste.

Gli appelli di Trump sul “reinserimento”, basati sulla legittimità di un passato falso, e cioè di un mondo bizzarro in cui «ha vinto» le elezioni, sono forme sfacciate di fascismo che non possono essere consentite o accettate.

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