Dietro la postura aggressiva di Trump e Musk si nasconde un paese in declino. Con il saldarsi di un potere politico, militare, economico e tecnologico che non ha precedenti nella storia dell’Occidente, e delle democrazie, si agita una nazione lacerata e in profonda crisi di identità. Questo non deve rassicurare gli alleati europei, anzi: come vedremo rende la situazione ancora più critica e incerta.

L’industria e la società americane hanno perso da tempo la capacità di produrre i beni di cui i loro cittadini hanno bisogno. La superpotenza che, nel 1945, poteva vantarsi di concentrare in sé metà della produzione industriale del mondo intero, vive ormai da decenni al di sopra dei propri mezzi: importando prodotti dall’Asia, ma anche dall’Europa, dal Canada e dal Messico.

Deficit e debito

Ne consegue un enorme deficit commerciale, che dal 2000 a oggi oscilla ogni anno fra il 4 e il 6 per cento del Pil. A questo si somma un gigantesco debito pubblico: il 124 per cento del Pil, in valori assoluti quasi dodici volte quello italiano.

Entrambi sono stati tenuti in piedi, in questi anni, solo grazie al ruolo del dollaro nei mercati finanziari internazionali, come valuta di riserva. Da qui discende il primo elemento di preoccupazione per l’Europa: gli Usa hanno un bisogno vitale di mantenere questo ruolo del dollaro, non possono permettersi che emergano monete rivali. E uno dei principali concorrenti è, naturalmente, l’euro. Non solo: è fondamentale che le due altre potenze economiche della sfera anglo-americana, cioè il Canada e il Regno Unito, con l’importantissima piazza finanziaria di Londra, rimangano allineate agli Stati Uniti.

Purtroppo per Trump, la perdita di capacità industriale non si recupera con i dazi. Non nel breve periodo, almeno. Gli Stati Uniti non hanno più la manodopera, mediamente qualificata, in grado di produrre quei beni e questa non si ricostituisce dall’oggi al domani: occorrono anni, se non decenni.

A meno di non fare ricorso all’immigrazione. Qui sta la seconda grande contraddizione della politica di Trump: più alza i dazi più, se vuole tenere in piedi l’economia dovrà aprire le porte agli immigrati. Purtroppo, nemmeno questa è una buona notizia per noi e per il resto del mondo. La contraddizione, infatti, non pare ricomponibile all’interno della narrativa trumpiana. E più il presidente repubblicano vedrà che le sue politiche non hanno effetto, anzi sono controproducenti, più tenderà a sviare l’attenzione, cercando di fare l’America great again in altro modo. Ne abbiamo già avuto un assaggio.

Diseguaglianze

La terza contraddizione è lo squilibrio fra il potere economico e tecnologico e le condizioni di vita della stragrande maggioranza dei cittadini. Contrariamente a quel che si crede, se guardiamo il Pil a parità di potere d’acquisto (cioè tenendo conto dell’inflazione), dagli anni Ottanta a oggi, cioè da quando sono iniziate le politiche neo-liberali, gli Stati Uniti sono cresciuti meno dell’Unione europea.

Il Pil peraltro è un dato medio, che cela disuguaglianze che sono altissime negli Usa; e negli Usa è un po’ gonfiato dal fatto che la sanità privata, pure essendo costosa e inefficiente, viene contabilizzata a un livello più alto della sanità pubblica (misurata con i salari lordi dei dipendenti). Per questi fatti, per capire la reale situazione in cui vive la stragrande maggioranza degli americani occorre guardare anche ad altri indicatori, come la speranza di vita.

Il quadro qui è disastroso. Dal 1980 al 2022, negli Usa è passata da 74 a 77 anni. In Unione europea, contemporaneamente, da 73 a 81! In pratica ogni europeo ha guadagnato 5 anni di vita rispetto a uno statunitense. E il divario continua ad ampliarsi.

A tutto ciò, che da solo spiega molto della crisi che sta vivendo la democrazia americana, corrisponde però un enorme rafforzamento di un potere tecnologico ed economico, nelle mani di pochi.

L’economia delle piattaforme ha visto negli ultimi 15 anni un forte processo di concentrazione: Facebook, Google e Amazon hanno assorbito i concorrenti (in barba all’antitrust e con la complicità di una politica bipartisan), finendo così anche per soffocare l’innovazione; a loro si aggiunge la galassia di Elon Musk.

Queste imprese sono legate a doppio filo alla politica e detengono oggi, oltre al potere tecnologico ed economico, una quantità enorme di dati che, come è evidente nel caso di Musk, possono usare per alterare il gioco democratico. Anche in Europa. In sostanza, in un contesto di disuguaglianze crescenti, Musk orienta il sostegno a forze di estrema destra favorendo la guerra dei penultimi contro gli ultimi (cioè del ceto medio impoverito contro gli immigrati) e contro le altre minoranze, a partire dalla comunità Lgbtq+.

Dietro l’intesa fra Musk e Meloni c’è (anche) questo rischio: quello di creare le condizioni affinché, come gli Usa, l’Italia diventi sempre più lacerata e diseguale, meno prospera e meno libera. E con sempre meno strumenti per poter tornare indietro.

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