È possibile continuare a considerare l’Italia una democrazia liberale a tutti gli effetti quando il partito al governo non pullula solo e tanto di nostalgici del fascismo, cosa acclarata al di fuori di ogni ragionevole dubbio (e chi ne ha, è pregato di documentarsi in proposito), bensì di persone che hanno avuto, ed hanno ancora come il caso di Marcello De Angelis dimostra, un legame affettivo e simpatetico con i terroristi di destra, con coloro che hanno insanguinato questo paese con decine di omicidi, con stragi di innocenti, con agguati devastanti a nemici politici? Il terrorismo ideologico ha piagato l’Italia come nessun altro paese europeo.

Nel 1979 si arrivò all’apogeo di più di 2000 azioni violente: «Cifre crudeli» – così si intitolava lo studio dell’Istituto Cattaneo che ha raccolto i dati su quegli anni – che lasciano ancora sgomenti anche se poi, fortunatamente, la violenza politica diffusa e il terrorismo, nel giro di pochi anni, si sono spenti, salvo qualche sporadico colpo di coda. 

Benché siano passati decenni, suscita un forte disagio constatare quanta contiguità pervade oggi le fila della destra meloniana con persone che hanno attraversato quella stagione. Le molte sigle del terrorismo di destra, dalle capostipiti Avanguardia nazionale (An) e Ordine nuovo (On) alle successive, e più truci, Nuclei armati rivoluzionari (Nar) e Terza Posizione (Tp), hanno attratto centinaia di giovani provenienti dalle organizzazioni giovanili del Movimento Sociale.

Per quanto Giorgio Almirante avesse compreso il pericolo di una commistione del suo partito con i gruppi eversivi, non calò mai una paratia stagna. Il senso di comune appartenenza ad uno stesso mondo, ad una comunità, impediva un distacco completo. Anche se lo spontaneismo armato dei Fioravanti e camerati inveiva contro la mollezza borghese del partito, così come nel passato avevano fatto An e On, e addirittura si scagliava contro camerati non in linea, persistevano legami ideologici ed affettivi.

Tuttora c’è un mondo, prevalentemente romano, di connivenze tra personaggi che emergono da quegli anni e Fratelli d’Italia. Non è forse un caso che Giorgia Meloni si sia scagliata più accesamente contro la polizia di stato evocando strategie complottiste, che contro gli assalitori della Cgil nell’ottobre 2021, guidati da estremisti di destra ed ex terroristi.

E, tornando indietro nel tempo, la stessa Meloni, quando era presidente di Azione Giovani, partecipò al funerale di un personaggio carismatico dell’estremismo romano, arrestato armi in pugno durante una azione dei Nar, Giuseppe (Peppe) Dimitri, detto anche il martello di Thor per l’abitudine di assaltare con quell’attrezzo gli avversari (tanto che ridusse all’infermità permanente uno studente sedicenne).  A quel funerale, la cui coreografia in puro stile nibelungico è stata efficacemente descritta da Nicola Rao nel suo Il sangue e la celtica, si dette appuntamento il gotha degli ex terroristi neri.

Eppure Meloni non ebbe problemi a parteciparvi. I sentimenti personali di amicizia e affetto sono indiscutibili e insindacabili. Ma quando questi investono una dimensione politica che non è limitata ad una comunità, ma riguarda il governo di un paese, allora le troppe presenze di personaggi dal passato compromesso nelle stanze del governo nazionale e locale, e in quelle del sottogoverno, diventano una questione centrale delle istituzioni democratiche. Del resto, sarebbe stato accettabile un presidente del consiglio di centro-sinistra che avesse partecipato al funerale di un brigatista insieme a tanti ex terroristi?

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