Spesso si sente dire: ma perché tante persone provano a scrivere un libro? Perché proprio questa fissazione di scrivere un libro, una fissazione che non ha pari? Chi lo dice di solito usa un tono che sta fra l’accusa e la presa in giro.

Come se scrivere fosse in fondo un’impresa stupida, visto che (e questo è un fatto oggettivo) poche persone riusciranno a essere lette da un numero decoroso di lettori.

Avere lettori è difficile, «in Italia sono più le persone che scrivono rispetto a quelle che leggono», o come diceva Troisi nella famosa battuta: «Io sono uno a leggere, loro sono un milione a scrivere». Dunque: perché tante persone si ostinano a scrivere?

La domanda ha un suo fascino economico, se intendiamo l’economia (come spesso faccio in questa rubrica) come la disciplina che indossa una maschera razionale, ma possiede un’anima profondamente legata all’abisso esistenziale.

Costi di produzione

Si potrebbe fare un’analisi economica della scrittura, ma per ora limitiamoci a dire questo: il costo di produzione della scrittura, a prima vista, sembra basso. Lo è davvero? In fondo cosa serve oggi per scrivere? Un computer (investimento iniziale) oppure un quaderno per chi (pochissimi ormai) faccia le cose all’antica. Serve eventualmente una connessione internet per la ricerca di informazioni e di suggestioni. Basta così?

Scrivere è in realtà un problema di costo opportunità, nel senso che mentre scrivi rinunci (moltissimo) ai benefici derivanti dal fare altre cose. Scrivere è un’attività che divora il tempo. Il grosso del costo variabile della scrittura è realmente il valore del tempo.

E qui sta il punto: il costo di produzione della scrittura sembra basso, ma non lo è. Come ho già spiegato altre volte, il tempo appartiene a quel gruppo di cose molto chic (come la salute) che non si possono mettere da parte quando non ci servono, per usarle in futuro se ne avremo bisogno. Il tempo è limitato, corre, gira l’angolo e scompare. Non è immagazzinabile.

Un gesto semplice 

Tornando alle persone che si ostinano a voler scrivere, diremo che queste fra l’altro infastidiscono molto anche certi scrittori pubblicati, perché il fatto che “tutti scrivano” sembra sminuire un po’ la fatica e il senso della scrittura. Sia chiaro: scrivere un libro dall’inizio alla fine, bello o brutto, non è un’impresa semplice, se non altro perché è un’impresa che richiede molta dedizione.

Somiglia un po’ alla maratona, sì, questo paragone viene fatto spesso. E in effetti anche la corsa ha una sua popolarità, ora che ci penso. Molti oggi provano a scrivere e molti provano a correre. Sono cose che male non fanno, se chiedete a me (ma se avete problemi cardiaci consultate prima un medico; per la corsa sicuramente).

Forse in tanti ci provano perché il gesto (la scrittura, la corsa) appare almeno inizialmente semplice. A correre si impara all’asilo, a scrivere si impara a scuola. Più o meno tutti sanno un po’ correre e sanno un po’ scrivere.

Esperimento mentale

Una volta ho provato a fare uno dei miei esperimenti mentali, ho immaginato che nelle scuole non si insegnasse a leggere e scrivere parole, ma a leggere e scrivere musica. Tu vai alle elementari e nessuno ti insegna l’alfabeto, o comunque ti viene insegnato come materia secondaria (come si insegna la musica nelle scuole adesso).

Tantissime ore sono dedicate a fornire le basi della musica, invece: la lettura, la scrittura sul pentagramma, il dettato musicale per allenare l’orecchio, e così via, fino alle basi della composizione.

Alla fine del percorso educativo tutti hanno un minimo di tecnica compositiva. A quel punto ci ritroviamo con un mare di persone che si esprimono in musica, ma siccome il talento e le idee originali sono e restano cosa per pochi, i più scrivono musica che probabilmente non è granché.

Però lo fanno, lo fanno perché è quello che sanno fare, perché è l’unico modo organizzato in cui sanno esprimere qualcosa di intellettuale, emotivo e spirituale, perché resta il modo in cui gli è stato insegnato a comunicare, e comunicare è una necessità dell’animo di molti.

Non di tutti, ma di molti. Lasciare una traccia. Il problema forse è proprio l’ossessione della traccia, e tutta questa musica che continua a essere prodotta nel mondo che ho appena immaginato è legata alla questione della morte. Bisogna essere più gentili con il bisogno di lasciare una traccia.

Mi piace abbastanza immaginare questo mondo musicale. In esso tutti cantano e ballano, è La La Land, è un musical. Anche i politici cantano, figurati se puoi farli star zitti, e a volte cantano cose orrende, ma sono magari popolari perché hanno una voce che piace alla maggioranza.

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