- L’emergenza parla con voce di maschio: nei primi mesi i venti membri del Comistato tecnico scientifico erano tutti uomini. Sono dovute arrivare le (sacrosante) proteste per far aggiungere, il 15 maggio con un’ordinanza integrativa, sei donne.
- Le donne che vediamo intervenire mediaticamente sono in secondo piano, o altrove, in altri Stati, oppure finiscono a giocare il ruolo delle inette: il ciondolo a forma di virus, i banchi con le rotelle.
- Quando il gioco si fa duro arrivano i padri, e i nonni: scendono in campo i capifamiglia. Ci troviamo a pendere dalle loro labbra, reiteriamo le loro parole, ci abbeveriamo alla loro fonte, non proprio nutriente, del loro immaginario. Dove sono le donne?
Ci avevo già pensato a inizio pandemia ma l’altro ieri mi è tornato in mente con un post di Instagram che annunciava la nuova puntata un noto programma di approfondimento di Rai3: su dodici ospiti invitati a parlare di Covid undici erano uomini. Avevo smesso di farci caso ma è così da febbraio: le voci emblematiche di questa emergenza – politici, virologi, amministratori – sono perlopiù maschili. Uomini, solo uomini quelli che contano. Avanti con gli anni, coi loro completi grigi o blu scur



