Qualche giorno fa ho proposto, a questo giornale, di scrivere un commento su Giulio Regeni che nella mia testa avrebbe toccato tutte le corde dell’animo umano: dolore, speranza, orgoglio. Probabilmente sarei stato retorico, ma sarebbe stato inevitabile, quasi d’obbligo.

In realtà è da circa una settimana che cerco di scrivere questo commento, ma non mi viene in mente nulla di tutto ciò.

L’unico sentimento che provo al momento è lo stupore.

Perché mi stupisco

Partiamo dall’Egitto del regime di al Sisi. Le autorità egiziane si rifiutano di collaborare con la giustizia italiana, perché «vista la morte degli accusati, non c’è alcuna ragione di intraprendere procedure penali circa il furto dei beni della vittima, il quale ha lasciato segni di ferite sul suo corpo», sostenendo ancora la tesi che Giulio sia stato ucciso da una banda di criminali, specializzata nel furto a stranieri, che è stata sterminata durante una retata della polizia egiziana. Contemporaneamente, però, sostengono anche la tesi in cui si afferma che misteriose «parti ostili a Egitto e Italia vogliono sfruttare» l’omicidio di Giulio Regeni «per nuocere alle relazioni» tra i due paesi.

Non a caso il rapimento, le torture e l’uccisione avvengono proprio quando una rappresentanza italiana si trovava al Cairo. Pensare che una banda di ladruncoli comuni, specializzata nel furto a stranieri, voglia sabotare le relazioni internazionali tra due paesi è abbastanza ridicolo. Allora mi chiedo: ma come si può pensare un depistaggio così idiota? Ma poi vogliono insegnare l’antica arte del depistaggio a noi? Noi che abbiamo scientificamente praticato il depistaggio in tutte le maggiori stragi del paese? Perché il governo italiano deve ancora continuare a relazionarsi con il regime di al Sisi con il loro insopportabile atteggiamento?

Un’altra cosa che mi ha sempre stupito è il perché qualcuno voglia dare alla vicenda di Giulio Regeni un colore politico. Si percepisce una certa diffidenza, se non una palese ostilità, anche da chi si definisce “sovranista”. Eppure tutti gli elementi sovranisti sono presenti nella narrazione: un italiano (per i più nostalgici potremmo aggiungere anche friulano, che fa molto padano), viene rapito, torturato e ucciso da dei musulmani cattivi, in un paese arabo. Eppure anche il lider maximo del sovranismo italiano è sempre rimasto un po’ freddino, rispetto alle sue calorose battaglie politiche. Mi ricordo ancora quando disse «comprendo bene la richiesta di giustizia della famiglia di Giulio Regeni. Ma per noi, per l’Italia, è fondamentale avere buone relazioni con un paese importante come l’Egitto». E poi quando, di ritorno da un incontro al Cairo dichiarò: «Ne ho parlato con al Sisi, ma evidentemente in Egitto non hanno tutta questa voglia di far emergere la verità». Un po’ come quando, alle medie, mandavi un amico per vedere se la ragazza che ti piaceva ci stava. Diciamo che ci metteva più entusiasmo quando per protesta copriva gli autovelox di Milano.

E se il lider maximo la pensa così, figuriamoci a quello che fanno i lider minimi.

Confesso ancora tutto il mio stupore, e sconcerto, quando nell’ottobre del 2016 il sindaco di Trieste, Roberto Di Piazza, tolse lo striscione “Verità per Giulio Regeni” dalla facciata del municipio, commentando: «Così mi sono tolto il dente cariato». Perché tanta ostilità verso una vicenda come questa? Perché trasformarla in una battaglia politica? Perché il mondo politico italiano non può rimanere compatto una volta tanto?

E mi stupisce anche chi, nonostante i continui e palesi depistaggi egiziani, ha cercato di rassicurarci dicendo che «il presidente al Sisi ha permesso una collaborazione giudiziaria che non è quella che noi sognavamo, ma che è decisamente superiore a quella standard utilizzata rispetto ad altri paesi».

Quindi potevano prenderci in giro e depistare molto di più, come fanno con gli altri paesi, ma non lo hanno fatto. Come se questo ci potesse consolare. Da ricordare il primo clamoroso depistaggio egiziano: quando dichiararono di aver trovato il cadavere di Giulio, senza spiegare come ci fossero riusciti, visto che quando fu abbandonato non aveva nessun documento di identità con sé ed era irriconoscibile in volto per le torture subite!

Due genitori antiretorici

Ma quelli che mi stupiscono in assoluto più di tutto e tutti sono Claudio e Paola Regeni, i genitori di Giulio.

È lecito pensare che all’inizio di tutta questa storia, siano stati circondati da persone che probabilmente si limitavano a compatire questa loro faticosa ricerca della verità. La compativano perché sembrava una cosa impossibile. Se già si fa fatica ad avere giustizia in Italia, figuriamoci in un paese lontano con al potere un regime. E quando sono andato per la prima volta a Fiumicello, ero curioso di conoscere personalmente le loro intenzioni.

Ed è lì che si sono rivelati ai miei occhi ancora più stupefacenti. A tutti gli artisti che si presentavano: cantanti, pittori, registi, scrittori, contrariamente a quello che si poteva pensare, da subito è stato chiesto di non coinvolgere Giulio in nessuno dei propri progetti artistici, ma caso mai di farsi loro coinvolgere nella ricerca della verità. Perché non era, e non è tuttora, ancora il tempo della retorica, dell’immedesimazione, ma solo il momento della ricerca della verità e nient’altro.

E mi hanno così convinto che ogni volta che sento ripetere a Paola questo concetto, la prima cosa che faccio è chiedermi: «Chissà chi è l’artista che voleva farci qualcosa?». Dimenticandomi ormai che uno di questi ero io!

E in tutti questi anni sono stati così attenti a evitare che chiunque, volontariamente o involontariamente, potesse inquinare anche solo uno dei pezzi di verità che lentamente sono venuti a galla, che oggi è anche merito loro se la magistratura italiana può istituire un processo. Una tappa inimmaginabile cinque anni fa.

E probabilmente anche il fatto di fuggire dalla figura di genitori tristi e sconsolati ha messo in difficoltà molte persone: al Sisi che non capirà come sia possibile che si parli ancora di questo Giulio Regeni.

Perché quando diceva «Giulio è uno di noi», secondo me, intendeva uno dei tanti che il regime uccide. Ha messo in difficoltà anche il governo italiano che avrebbe preferito avere a che fare con dei semplici inconsolabili genitori e non con degli inconsolabili genitori che denunciano il governo italiano. L’università di Cambridge che, vista la loro non collaborazione, probabilmente questo lo vive solo come un tristissimo incidente di percorso, ma non abbastanza triste da compromettere il buon nome dell’università. I politici italiani, perché avere dei genitori da incontrare per l’anniversario va anche bene, ma averci a che fare tutto l’anno è una scomoda responsabilità. E ha messo in crisi anche a me, che avevo in mente di scrivere un commento con un po’ di dolore, mezzo chilo di speranza e tre quarti di commozione, da farcire con della sana retorica, nella speranza di ricevere tanti like invece sono qui che sbatto la testa al muro, perché non ho nulla di tutto questo.

Ho solo due antiretorici, incrollabili e concreti genitori alla ricerca della verità.

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