L’avvio della campagna vaccinale non è stato bruciante, diciamolo. Alla messa cantata dell’avvio della campagna vaccinale il 27 dicembre è seguito un discreto flop, che alimenta nervosismi e legittime preoccupazioni.

Interpellato dallo scrittore Antonio Scurati sul Corriere della Sera, il commissario straordinario Domenico Arcuri risponde che è tutto sotto controllo, il piano di distribuzione dei vaccini è impostato e ora spetta alle regioni. Ma non è così.

In realtà Arcuri si limita a enumerare quello che dovrebbe succedere secondo le tappe del piano vaccinale, ma non dà ragione dei ritardi che si stanno accumulando, e delle molte incertezze che sussistono e che erano state sottovalutate.

Con i vaccini si sta ripetendo il film della impreparazione di fronte alla seconda ondata di ottobre. Da mesi sapevamo che ci saremmo dovuti preparare a una vaccinazione di massa senza uguali, e che non sarebbe stata una passeggiata. Riuscire a portare a casa nell’arco di un anno un’immunità diffusa che ci consenta di tornare a una vita pressapoco normale si scontra con numerosi ostacoli e incertezze.

La prima riguarda le scorte di vaccini prenotate dall’Unione europea e divise equamente fra i paesi. L’unico vaccino al momento disponibile è quello di Pfizer-BioNtech, che richiede una logistica complessa per via della conservazione a -70 gradi centigradi.

A breve avremo anche il vaccino di Moderna, mentre non si hanno ancora certezze sugli altri (AstraZeneca, Sanofi, Johnson, Curevac), che pure erano stati messi nel conto del piano vaccinale.

Si spera che a Moderna segua l’approvazione europea del vaccino di Oxford-AstraZeneca, che pure ha mostrato alcune pecche nella conduzione della sperimentazione e una minore efficacia di cui bisognerà tener conto.

Vaccinare è un atto medico, soprattutto pensando a questi vaccini in cui il rischio di crisi anafilattica, per quanto raro (uno su centomila) è dieci volte maggiore che negli altri vaccini. A questo si aggiunge la complicazione di dover fare due dosi a distanza di un paio di settimane, registrare le persone, organizzare i richiami, spiegare…

Voler vaccinare la maggioranza della popolazione per arrivare a una immunità diffusa implica fare in fretta, perché non si sa ancora quanto possa durare l’immunità conferita dal vaccino.

A dire il vero, non si può essere ancora certi che questi vaccini proteggano oltre che dalla malattia, dalla trasmissione virale. Ci potrà mai essere una immunità di gruppo?

Non è detto, anche se tutti fanno finta che ci sarà.

L’obiettivo più immediato e realistico è quindi di vaccinare il più rapidamente possibile le persone a rischio di ammalarsi gravemente, quindi ospiti delle case di riposo, anziani e malati cronici. Si tratta comunque di un obiettivo ambizioso (15-20 milioni di persone)  a cui ai ritmi indicati da Arcuri non si arriverà certo prima dell’estate.

Forse non è chiaro che ogni giorno di ritardo nelle vaccinazioni è un giorno con più morti nella contabilità quotidiana di Covid. Per questo alcuni paesi (Israele in testa) hanno adottato un approccio che normalmente si riserva agli eventi bellici: massima intensità di riposta concentrata nel minor tempo possibile.

L’Italia - e a dire il vero buona parte dell’Europa - sembra di nuovo impreparata a montare una risposta massiva e tempestiva, diciamo da 300 a 600mila vaccinazioni al giorno.

Le lungaggini dei primi giorni della campagna vaccinale indicano nella mancanza dei medici e infermieri la principale strettoia. Perché allora si è partiti così tardi - l’11 dicembre - a occuparsi di questo problema?

Al momento non risulta che i 12.000 infermieri e i 3.000 medici che hanno risposto al bando ministeriale siano già scesi in campo per dare manforte ai colleghi in quella che dovrebbe essere la più ambiziosa campagna vaccinale della storia.

Come dice il virologo Massimo Galli, «tutto quello che è mobilitabile a sostegno della campagna vaccinale deve essere mobilitato. Non c'è luogo al mondo in cui si dica 'vacciniamo tutti, non c’è problema'. In tutti i sistemi sanitari occidentali non è mai stata attuata una vaccinazione di massa e rappresenta una sfida importantissima che ha bisogno di numeri diversi e una certa serenità».

Dopo le primule, serve ora una leadership forte per «mobilitare il mobilitabile» per far correre il vaccino più veloce del virus e uscire davvero dal tunnel.

© Riproduzione riservata