L’intransigenza politica che fa da sfondo alla guerra in Ucraina sta rendendo difficile trovare un accordo. Ciò che si potrà ragionevolmente ottenere è una tregua con partizione del paese che diverrebbe de facto una soluzione quasi definitiva anche se non riconosciuta dalla comunità internazionale ma solo come risultato della cessazione delle ostilità.

Non sarebbe l’appianamento del conflitto ma solo un primo passo in quella direzione.

Modello Cipro

Nel dipanarsi delle crisi internazionali le eccezioni stanno diventando la norma: il congelamento dei conflitti. A tale riguardo la situazione di Cipro è un esempio: nessuno dei protagonisti di quell’ormai antica crisi vuole negoziare un nuovo assetto definitivo dell’isola. Allo stesso tempo non si combatte più.

Di conseguenza la comunità internazionale accetta in silenzio la partizione de facto dell’isola, pur senza riconoscerla formalmente.

Dopo anni di tensioni sulla linea verde che separa l’isola in due, ci si è acconciati a tale realtà tanto che ciò non ha ostacolato l’entrata di Cipro nell’Unione europea. Curiosamente, l’adesione alla Ue non ha nemmeno impedito ai turco-ciprioti che possono dimostrare di essere cittadini di Cipro prima del 1974, di ottenere il passaporto europeo anche se residenti a nord o altrove.

Una situazione ambigua eppure solidificata dal tempo, di cui ciascuno si soddisfa pur di non riconoscere i diritti della parte avversa. In questo quadro le rivendicazioni sono diventate pura retorica e l’essenziale rimane quello di non rompere lo status quo. 

Così potrebbe avvenire anche per gli ucraini se si giunge ad una tregua evitando che il conflitto sfoci in una guerra generalizzata. A quel punto, da un lato non sarà possibile per l’Ue rifiutare l’entrata nell’Unione ad un popolo che ha talmente sofferto.

Dall’altro, se i russi saranno flessibili, con il tempo l’Ucraina divisa potrebbe divenire una porta semiaperta verso l’UE, grazie allo stesso escamotage usato a Cipro.

Ci sono tanti altri esempi di situazioni di conflitto congelate nel mondo: il quadro giuridico sul quale dovrebbe basarsi l’ordine internazionale è talmente disseminato di eccezioni da rendere la geopolitica assai complessa ed articolata.

Il Kosovo, ad esempio, non è ancora pienamente riconosciuto all’Onu come non lo sono Abcasia, Ossezia del Sud; Transnistria; Somaliland o Sahara occidentale. C’è il caso speciale della Palestina, sospesa a metà strada senza le piene attribuzioni di uno Stato.

Poi c’è lo specifico caso di Taiwan che Pechino considera parte integrante della Cina. Le due Coree non si riconoscono vicendevolmente da un punto di vista formale.

A tutto questo si aggiungono numerosi territori contesi, la cui situazione giuridica è fonte permanente di tensioni, tra cui per esempio il Kashmir, varie isole nel Mar cinese meridionale o nel mar del Giappone e numerose altre situazioni. Infine vi sono territori autonomi che aspirano all’indipendenza come il Kurdistan iracheno, il Rojava siriano ed altri. 

La guerra del Nagorno Karabakh dovrebbe insegnarci che una crisi immobilizzata e lasciata in sospeso per decenni può improvvisamente riaccendersi e trasformarsi in guerra aperta.

Quando ormai tutti si erano dimenticati di quel conflitto, eccolo improvvisamente riesplodere nel settembre 2020, dopo 30 anni di stasi..

L’Ucraina federale

Nessuna tregua garantisce la pace se non c’è un lavoro di accompagnamento lungo e tenace. Anche una soluzione alla cipriota rimarrebbe quindi pur sempre transitoria, da trasformare in qualcosa di più definitivo. L’abitudine a lasciare irrisolti numerosi scenari di crisi è nociva e non aiuta la costruzione di un clima internazionale cooperativo.

Mentre ancora si combatte la cosa più urgente rimane il cessate il fuoco da ottenere il più presto possibile. L’Occidente oscilla tra il non potersi permettere né la forza, né la debolezza, rimanendo incerto sul da farsi. Da un lato sente la debolezza come colpevole di non assistenza a popolo in pericolo. Dall’altra comprende che ogni tipo di interventismo sarebbe irresponsabile e pericoloso.

La sola soluzione coerente era un’Ucraina federale che diviene ponte tra est e ovest in Europa, garantendo entrambi gli schieramenti.

Ora la guerra scatenata dalla Russia rende quasi impossibile tale ipotesi. Tuttavia, se vogliono assicurare pace e sicurezza ai loro popoli, i leader europei non devono fomentare i combattimenti ma urgentemente ricercare una soluzione politica definitiva, spingendo su entrambi i protagonisti affinché negozino. 

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