L'azionariato critico In Italia non si può più fare, forse per sempre. In maniera del tutto inaspettata, infatti, anche quest'anno l'accesso in sala per gli azionisti non sarà garantito.

Una “sorpresa” frutto dell’emendamento al cosiddetto Decreto Milleproroghe che reitera le disposizioni contenute nel Decreto legge “Cura Italia” del 17 marzo 2020.

Negli ultimi tre anni, a causa della pandemia di Covid, le assemblee delle grandi aziende e banche italiane si sono svolte a porte chiuse, di fatto limitando moltissimo il dibattito democratico.

Gli azionisti dovevano delegare un rappresentante unico, potendo sottoporre le domande solo in maniera scritta.

A fronte di questo provvedimento voluto dal governo Meloni e approvato dal Parlamento, ReCommon, Isde Italia, Greenpeace Italia, The Good Lobby e Fondazione Finanza Etica prendono posizione con forza, denunciando l’ulteriore restrizione degli spazi democratici in merito alla possibilità di fare da contraltare all’operato dei gruppi industriali e finanziari italiani.

Cos’è l’azionariato critico

La pratica dell'azionariato critico, che si è diffusa nel nostro Paese da una dozzina d'anni a questa parte grazie all'iniziativa di organizzazioni e realtà come ReCommon, Amnesty International e Fondazione Finanza Etica, consiste nel comprare poche azioni di società di altissimo profilo nel campo energetico (per esempio Eni ed Enel), finanziario (Intesa Sanpaolo e UniCredit) e del commercio delle armi (Leonardo) e approfittare dell'appuntamento annuale dell'assemblea degli azionisti per andare a chiedere conto alle suddette del loro operato.

A porre domande scomode e denunciare fatti incresciosi nel corso di questi anni sono stati attivisti e attiviste italiani e di altre parti del mondo dove le multinazionali italiane  svolgono una parte della loro attività.

Curioso come l’emendamento delle “porte chiuse” sia stato presentato da Massimo Garavaglia (Lega), parlamentare che nel dicembre 2021 affermava la sua contrarietà a possibili chiusure per contrastare la recrudescenza della situazione pandemica e auspicava «un mesetto senza parlare di Covid», e che ora vuole invece sbarrare le porte assembleari dei colossi italiani proprio per il rischio sanitario connesso all’epidemia da Covid-19.

In un contesto di cessata emergenza ormai da mesi, viene da chiedersi quali interessi siano tutelati da questo emendamento così “mirato”.

Di cosa si discute

Ancora più del passato le assemblee rischiano di ruotare solo intorno a due argomenti: il rinnovo dei cda e lo stacco della cedola, cioè il dividendo corrisposto agli azionisti. Questi consessi rappresentano così la distanza abissale che intercorre tra i colossi italiani e il  paese reale, con i bisogni delle persone che non trovano altro spazio se non quello di subire decisioni prese altrove.

Si pensi proprio al mega-programma di riacquisto di azioni proprie (in inglese buyback) promosso da Eni per trasferire ulteriori profitti, oltre i dividendi, agli azionisti privati, mentre in Italia la povertà energetica è dilagante e colpisce ben 2,5 milioni di nuclei familiari.

La situazione, in prospettiva, potrebbe essere ancor più critica, leggendo le parole di Luciano Acciari, coordinatore del Forum dei segretari dei cda e membro del management di Leonardo. Sembra, infatti, che si voglia consentire «l’intervento dal vivo solo ai soci dotati di un pacchetto di azioni minimamente significativo, che tagli fuori i “disturbatori” in cerca di visibilità o altri interessi».

Anche il quotidiano online Italia Informa ha denunciato in maniera forte questa pericolosa deriva, parlando di «democrazia a pezzi».

Una voce autorevole, se si pensa che il Comitato Scientifico del quotidiano è composto da membri di quelle stesse società che, fra il 2020 e il 2022, hanno scelto la linea dura delle assemblee a porte chiuse. Sintomo evidente di un forte dissenso in seno alle stesse.

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