Il Covid-19, che il governo pensava di poter abolire con la semplice scelta di non parlarne più, torna a fare notizia. Niente di inaspettato, né di particolarmente drammatico, per ora. Nulla che faccia pensare agli tsunami che hanno travolto i sistemi sanitari di tutto il mondo nel 2020 o al comparire della variante omicron a cavallo tra il 2021 e il 2022.

Perciò, nessuno – ma proprio nessuno – pensa che potrebbero essere di nuovo necessarie misure eccezionali come i lockdown, a meno che compaia un nuovo virus altrettanto aggressivo verso cui la popolazione non abbia difese. Polemizzare su questo è un argomento fantoccio, che qualifica da solo chi lo usa.

Nei dati resi noti venerdì dal ministero, tuttavia, non si può più negare la svolta che già si intravedeva nelle scorse settimane e che si è già manifestata in maniera evidente negli Stati Uniti e nel Regno unito. Dipenda dalle nuove varianti o dall’abbandono di qualunque precauzione, il numero di nuovi casi – pur inaffidabile in termini assoluti, dato che sono ben poche oggi le persone che denunciano la loro positività – cresce a macchia d’olio: nella settimana tra luglio e agosto se ne registrarono in tutto il paese poco più di 5mila, in quella a cavallo di settembre oltre 21mila. I nuovi ingressi in terapia intensiva, meno di 10 ai primi di luglio, sono arrivati a 55. Anche i decessi settimanali, purtroppo, tornano ad avvicinarsi al centinaio.

In controtendenza

Il nuovo direttore generale della prevenzione, Francesco Vaia, però, quando, da una settimana all’altra, i casi sono più che raddoppiati, ha parlato di un “leggero rialzo”. Oggi è costretto ad ammettere che «l’attuale andamento clinico-epidemiologico non desta allarme, ma richiede attenzione e misure di prudenza». Quali?

Il ministro della salute Orazio Schillaci per il momento tace, ma ha firmato tre provvedimenti in linea con il desiderio degli italiani di credere che la pandemia sia finita: ai primi di agosto, su pressione degli operatori turistici, ha abolito l’isolamento per legge dei positivi, lasciandoli liberi di diffondere l’infezione. Alla fine del mese, ha eliminato l’uso delle mascherine negli ospedali, se non in presenza dei più fragili. Venerdì ha tolto anche l’obbligo di tamponi per i ricoverati asintomatici, lasciando ai singoli direttori sanitari la responsabilità di richiederli.

Un problema di comunicazione

Insomma, la comunicazione del governo su Covid-19 non c’è, se non nei fatti, con cui lo si continua ad assimilare all’influenza. Che pure è una malattia da non sottovalutare, ma che si prende al più ogni due o tre anni, non due o tre volte l’anno; colpisce solo durante la stagione invernale, non anche in estate.

Dal 15 giugno il coronavirus ha provocato quasi 700 decessi, l’influenza zero. Nel mondo si stima che oltre 65 milioni di persone soffrano delle conseguenze a lungo termine della pandemia. Per l’influenza non si verifica lo stesso dopo ogni stagione.

Così come non aumentano nella stessa misura per l’influenza i casi di ictus, infarti e altri eventi gravi che invece sono favoriti anche nei giovani dall’azione del coronavirus sui vasi sanguigni. Quegli stessi eventi che certa stampa vicina alla maggioranza correla in maniera martellante, ogni giorno, ai vaccini, indifferente a qualunque dato scientifico.

Eppure i vaccini anti Covid tra poco saranno da promuovere, almeno tra chi rischia di più da una nuova infezione, dalle donne in gravidanza agli anziani. Non sarà facile farlo per il governo, che spendeva (giustamente) denaro pubblico per acquistarli, mentre, con i fatti, cercava di convincere gli italiani che covid è solo un raffreddore.

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