Ancora una volta, la commemorazione di giovani missini uccisi dalla violenza politica degli anni Settanta si è trasformata in un adunata di centinaia di camerati perfettamente inquadrati militarmente, tutti abbigliati in nero e pronti a gridare e salutare secondo il noto rituale fascista di fronte ai caduti. Quello che è andato in scena domenica sera in via Acca Larentia ricorda le adunate notturne naziste con fiaccole e canti, riti per cementare una appartenenza, dimostrare potenza e incutere timore all’avversario. Un replay della storia nera e sanguinosa del Novecento.

In effetti c’è un passato che non passa, ci sono radici che non gelano come dice orgogliosamente Giorgia Meloni. E le sue radici, inutile girarci attorno, sono quelle fasciste, appena edulcorate dal mondo irreale e magico della fantasy: un espediente per uscire dalla triste realtà della vittoria delle democrazie nel 1945 e attraversare una porta magica per vivere in una realtà parallela. Perché questi riti ritornano e perché conquistano così tanto spazio ora? Ritornano perché non si sono mai tagliate quelle radici. La rapidissima chiusura della guerra civile senza alcuna Norimberga per i crimini ventennali del regime e anzi il reinserimento in piena regola nella vita pubblica di milioni di fascisti, ha lasciato sul terreno un sentimento di assoluzione e impunità nei loro confronti. In fondo, siamo tutti italiani.

E poi il vero pericolo sono i comunisti. La pacificazione, invocata per decenni dal leader storico dei neofascisti, Giorgio Almirante, si declinava in equiparazione tra fascisti e antifascisti. Esattamente quello che intendeva Meloni nella sua conferenza stampa di fine 2022 quando ha fatto l’elogio del Msi come forza democratica. In effetti, per lei il fascismo non è da condannare. Anzi, secondo la premier, ha addirittura «contribuito a rafforzare la democrazia». Tutti hanno diritto di organizzarsi sulla base delle idee che preferiscono.

Giustamente è stato consentito ai nostalgici del regime di fondare, già nel dicembre 1946, un partito che raccogliesse i reduci di quella esperienza. Ma, un conto è coltivare la nostalgia, un altro è contrapporla ai valori e alle prassi del regime democratico. Le sedi di un partito possono anche rigurgitare di memorabilia del regime, ma non devono uscire di lì perché lo spazio pubblico non ammette queste esibizioni in quanto antitetiche al sistema politico democratico.

L’indulgenza verso esibizioni pubbliche di attaccamento al fascismo è durata per decenni aumentando poi di intensità dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi. La generale distrazione nei confronti delle manifestazioni neofasciste sconfina nella acquiescenza e nella simpatia negli apparati di sicurezza. Basti ricordare che dopo che una coppia di agenti ebbe ucciso in un conflitto a fuoco l’attentatore al mercatino di Natale di Berlino nel 2016, il governo tedesco, in procinto di conferire loro una onorificenza, fece marcia indietro quando scoprì che nei loro profili Facebook campeggiavano foto e scritte inneggianti al Duce a persino ad Hitler.

L’identificazione con il fascismo attraversa ancora parte dell’opinione pubblica. È rimasta silente a lungo, ma da quando Salvini prima, e Meloni ora, sono diventati centrali nella politica italiana, riemerge con irruenza. La riunione di Acca Larentia, con il suo rituale lugubre e aggressivo, galleggiava su quel sottofondo. Ma ora è diverso: c’è un potere che comprende, e protegge, quel mondo. Aveva ragione Enrico Letta: la scelta era tra il rosso e il nero; e molti, troppi a sinistra, non l’hanno capito. Invece questo è il punto. La fiamma dei nostalgici arde ancora, e sempre più vivacemente. E la presidente del Consiglio tace e acconsente. Se il silenzio continua vuole dire che è stata superata una linea nera.

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