Un protestare inconcludente. L’Europa incastrata a Trump

Mentre cerca nel globo un nemico facile che gli regali una vittoria (forse in Nigeria, forse in Venezuela, forse dove capita) il Grande Condottiero converte la sua aggressività verso l’Europa in prodromi di possibili aggressioni. Reazioni degli europei che risultino all’altezza della sfida? Mah. Veniamo ai fatti. Donald Trump nomina un suo inviato speciale per la Groenlandia, uno yes-man che si precipita a spiegare il suo mandato con un progetto esplicito, «fare sì che la Groenlandia diventi parte degli Stati Uniti». Poiché quell’isola, la più grande del mondo, appartiene al regno di Danimarca, Copenaghen protesta con veemenza. Protesta anche il vertice della Ue, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas, ma riuscendo a non nominare Trump e gli Stati Uniti. Non protestano i premier europei (con l’eccezione di Emmanuel Macron) né il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, un famiglio olandese che in giugno riuscì a chiamare Trump «daddy», paparino, in un impeto di devozione. Scarse tracce nei media europei di quella solidarietà elementare di cui dovrebbe essere intessuto l’europeismo. Come se la tenzone groenlandese fosse una vicenda locale, remota. Un messaggio alla destra religiosa e non solo, i motivi dell’attacco di Trump in Nigeria Organizzare i segmenti Eppure non è marginale se il paese leader della Nato si atteggia come uno stato-canaglia verso un suo alleato, con l’intenzione dichiarata di rapinarlo delle sue risorse naturali. Varie convenienze suggeriscono che, malgrado Trump, l’Alleanza atlantica possa esserci ancora utile. Ma ancor più utile parrebbe un cantiere dove si costruisca la futura architettura della sicurezza europea. Un metodo esperibile: cominciare ad agganciare tra loro alcune formule di cooperazione concordate tra singoli stati europei che condividono le stesse preoccupazioni (in genere originate da Vladimir Putin e da Trump). Per esempio il gruppo E3 (Gran Bretagna, Francia, Germania) estendibile a E5 (con Italia e Spagna); o il Nordic Baltic 8, il Weimar triangle, il Weimar plus, e quant’altro stia producendo in Europa la nuova tendenza a un multilaterialismo spezzettato (minilateralismo nella definizione del politologo Neil Melvin). Organizzare questi segmenti intorno a una visione strategica coerente permetterebbe di affrontare con meno impacci il braccio di ferro con gli Stati Uniti. Mentre prova a erodere la sovranità danese sulla Groenlandia, Washington mette in dubbio anche la sovranità digitale della Ue con una intimidazione: le sanzioni ad personam contro l’ex commissario europeo Thierry Breton. Agli occhi dell’amministrazione Trump Breton è colpevole di «danneggiare la tecnologia americana» in quanto primo responsabile degli strumenti normativi con i quali la Ue cerca di regolare servizi e mercati digitali, anche per proteggerli dall’egemonia Usa. Seguono vibrate proteste francesi e il silenzio di molti europei, tra i quali il governo italiano, dove anzi la Lega e i suoi giornalini plaudono alle sanzioni. La Ue fa la voce grossa («se necessario reagiremo in modo rapido e deciso per difendere la nostra autonomia normativa da misure ingiustificate»). Ma minacciare venti volte misure di ritorsione e non adottarle mai finisce per confermare quel che dice Trump a proposito dell’Europa: «Non sa mai cosa vuole». Trump mette pressione alla Danimarca, scontro diplomatico su una Groenlandia in bilico Medio Oriente Un esempio di questo protestare inconcludente, così come dell’incapacità di disincastrasi dagli Stati Uniti, lo offre la reazione della Ue alle recenti dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz. Proclamando indirettamente che il cosiddetto “Piano Trump” per Gaza è una farsa, Katz spiega che mai Israele lascerà la Striscia, atto senza il quale l’intero progetto cade; e anzi «a tempo debito» costruirà insediamenti di coloni. Come da prassi, l’ambasciata degli Stati Uniti mostra irritazione e Katz rettifica: ma il giorno seguente rettifica la rettifica e di fatto conferma. Scopo della sua sortita: spegnere le residue velleità di questo o quello stato di partecipare alla “forza di stabilizzazione” prevista dal “Piano Trump”, diecimila soldati cui verrebbe affidato il controllo della Striscia. Dopo due mesi il progetto americano che doveva portare la pace «dopo millenni» pare defunto: ma dichiarare il decesso urterebbe la sensibilità del Grande Pacificatore e obbligherebbe gli europei a proporre un loro piano, che non c’è. Così si continua a fingere che il cadavere sia vivo e se ne parla come se, anzi, stesse per mettersi in cammino. Intanto Israele continua le operazioni di pulizia etnica nel West Bank, tecnicamente “genocidio”, e autorizza 19 nuovi insediamenti di coloni. Allora 19 paesi della Ue, Italia inclusa, protestano e, convinti di aver salvato la faccia, chiudono la pratica. Sanzioni, neppure sono ventilate. Insomma, il nulla. Al solito. Trump fa squadra con Putin per infangare l’Ue, ma stiamo meglio noi degli Usa