Smessi i panni della statista ragionevole, che le stanno troppo stretti, la premier Meloni ha avviato la campagna per le elezioni del giugno prossimo. Non sarà mai paludata, si capisce, ma gioverebbe all’Italia se avesse, o almeno mostrasse, statura istituzionale; ci si contenterebbe anche solo di più creanza. Non ci aiutano, infatti, i toni da lei esibiti nel noto convegno di Vox l’anno scorso; meglio per la nazione se li evita. Non c’è mestiere più duro, si sa, del “predecessore”. E quel novellino dell’ex premier Mario Draghi ignorava le virtù del procedimento a “pacchetto”, distillato nelle segrete di Palazzo Chigi; gli sfuggivano anche i pregi di un approccio aggressivo ai negoziati.

Si contentava di unire intorno alle proposte italiane i necessari consensi, come quando poté affermare che la Bce avrebbe fatto tutto il necessario per salvare l'euro. Nulla davanti alle dodici fatiche di Giorgia Meloni che, col suo bucatino magico forse non pretende “tutto il cucuzzaro” ma non la spunterà col seguente “pacchetto” di mischia: un nuovo patto di stabilità tarato sui bisogni italiani, il completamento dell'unione bancaria, le modifiche richieste per ratificare il Mes, ignote a tutti e pare anche al governo, la sostituzione di Fabio Panetta in Bce, infine l’accordo europeo sulle migrazioni.

Per queste ultime, siamo certi della solidarietà degli amici patrioti polacchi? Quanto all’istituto di Francoforte, Roma ha sempre avuto un posto nel suo comitato esecutivo, ma è solo una riguardosa usanza, non un diritto acquisito.

Questi atteggiamenti aggressivi eccitano magari le tribune casalinghe in vista delle elezioni al parlamento europeo ma non aumentano le probabilità che l’Italia sia ben rappresentata. È becero pensare che quella persona debba essere una marionetta teleguidata da Roma, come pensava Luigi Di Maio nella sua precedente incarnazione pentastellata. Essa non dovrà sostenere comunque le posizioni del governo che l’ha nominata; dovrà invece perseguire il miglior interesse di tutta la zona euro, facendo così anche l’interesse di un’Italia che fuori dalla moneta unica sarebbe distrutta.

È vero, altri paesi, Germania in primis, da tempo vogliono condizionare la Bce sui tassi in una prospettiva di politica domestica; è un grave errore ma almeno esprimono rispettabili posizioni tecniche, non sguaiati attacchi politici. Contiamo allora sull’eterogenesi dei fini. Chissà che, tornando a rivestire i panni purtroppo a lei più consoni, Meloni non induca i suoi premurosi sostenitori nel nostro establishment a distanziarsene, mostrando preoccupazione per i gravi rischi del ritorno della destra, non già al denegato fascismo, ma alle nostalgie per un passato che tale resterà. Per nostra fortuna.

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