Per Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, è stato un periodo da incorniciare: ha vinto la causa personale contro il Banco Santander con un risarcimento da 68 milioni; ha interrotto le trattative per Monte dei Paschi di Siena con il ministero del Tesoro, avendo chiarito che il tempo dell’oro alla patria è finito; ha presentato il nuovo piano della banca che è stato accolto con entusiasmo, in pochi giorni il titolo è salito del 12 per cento.

La presentazione di un nuovo piano alla Borsa è un modo con cui il management fornisce la propria visione di quello che sarà il futuro dell’azienda e indica gli obiettivi che vuole raggiungere, cercando di convincere gli investitori della bontà della visione e della realizzabilità degli obiettivi. Insomma, una performance motivazionale più che una previsione analitica. E Orcel deve essere stato molto convincente.

L’argomento principe è l’aumento della remunerazione promesso agli azionisti: 3,7 miliardi subito e almeno altri 12,3 nei prossimi anni, per un totale di 16 miliardi entro il 2024. Ovvero “cash is king”.

I 3,7 miliardi per il 2021 sono in gran parte la restituzione di capitale in eccesso che, in verità, è il lascito delle tante attività cedute e della pulizia degli Npl fatta dalla precedente gestione Mustier. La remunerazione per gli azionisti nei tre anni successivi dovrebbe derivare invece dalla gestione ordinaria che farà crescere il tasso di patrimonializzazione di base (Cet1) di 150 punti l’anno, di cui 130 derivanti da profitti e solo 20 da riduzione del rischio degli attivi (il denominatore del rapporto Cet1).

Tra crescita prevista degli utili e buyback (che riducono il numero di azioni in circolazione), il Piano prevede un incremento dell’utile per azione del 15 per cento medio annuo fino al 2024. Per capire quanto ambizioso sia l’obiettivo, si ricordi che nel triennio 2016-2019 l’utile per azione delle società tecnologiche quotate al Nasdaq è cresciuto a un tasso medio annuo del 13; e dell’8 quello di Ubs nei sei anni in cui Orcel è stato al vertice (2013-2018).

Chief Executive Officer of UBS, Andrea Orcel leaves Portcullis House in London after giving evidence on banking standards to the Parliamentary Commission on Banking Standards, Wednesday, Jan. 9, 2013. The chief executive of UBS’s investment bank told British MPs on Wednesday that bankers had become too arrogant and that the industry has to change. (AP Photo/Sang Tan)

Niente tagli drastici

Orcel pensa di ottenere la maggiore redditività soprattutto tramite un forte aumento dei ricavi da commissioni. Per i risparmiatori le commissioni vengono dai prodotti assicurativi diversi dal ramo vita, private banking e risparmio amministrato, senza dover fare acquisizioni di società prodotto, assicurazioni o fintech. Per le imprese dall’advisory, senza aumentare il capitale allocato al corporate.

Per i costi nessuna ristrutturazione ma solo una maggiore efficienza per ridurre il rapporto cost/income dal 56 attuale al 50 di fine Piano. E niente tagli drastici, anzi si prevedono 2,8 miliardi di investimenti nel digitale e 3.600 assunzioni, di cui 2.100 nel settore tecnologico (al lordo di altre riduzioni del personale non specificate).

La ricetta presentata per aumentare la redditività è molto semplice: una migliore organizzazione che tagli la burocrazia interna, riduca i livelli decisionali e motivi i dipendenti; l’integrazione delle 13 banche del gruppo, oggi segmentate nei vari paesi, per beneficiare delle economie di scala; e la digitalizzazione della banca. Tutto questo nell’ipotesi che non ci siano eventuali interventi del regolatore che il Piano Unicredit con estremo tatto chiama «venti contrari da regolamentazione» (regulatory headwinds). Sintesi del Piano: basta gestire meglio la banca. Ci si potrebbe domandare perché, se è così semplice, nessuno l’abbia fatto prima.

Fusioni con altre banche non sono né escluse, né previste: Orcel non lo dice chiaramente, ma per quelle bisognerà prima aumentare i multipli a cui viene valutato Unicredit.

Tra Italia e Germania

Nonostante il forte rialzo in Borsa di questi giorni, infatti, il valore di Unicredit in rapporto al suo patrimonio è ancora a sconto di circa il 25 per cento rispetto a quello mediano delle altre banche dell’indice europeo di settore. Ma è chiaro l’obiettivo di migliorare i multipli di Unicredit con la remunerazione generosa degli azionisti e con l’incremento del rendimento sul capitale (tangibile) dal 7 di quest’anno al 10 di fine Piano.

Aumentare la redditività è il modo sicuro per migliorare i multipli. Le otto grandi banche europee (Nordea, Seb, Svenska, Swedbank, Kbc, Erste, Otp e Pko) che hanno una capitalizzazione superiore al patrimonio (in media 1,3 volte), vantano anche una redditività sul capitale (tangibile) media del 13 per cento. Il problema per Unicredit è che queste otto banche operano prevalentemente in un’unica area geografica, in paesi di minori dimensioni, e al di fuori dell’Eurozona: 4 sono scandinave e 3 del centro ed est Europa.

Unicredit invece è un gruppo che opera in quattro aree diverse (Italia, Germania, Centro ed est Europa) segmentate da differenti normative nazionali, crescenti nazionalismi, e una regolazione che è unica solo di nome: l’unione bancaria è ancora un progetto (basti pensare alla controversia sulla rischiosità dei titoli di stato ai fini dei coefficienti di capitale, o ai veti all’utilizzo di depositi raccolti in un paese per l’attività di prestito in altri). L’attività di banca commerciale rimane ancora prevalentemente domestica, precludendo economie di scala.

Le differenti norme nazionali e una regolamentazione pervasiva contribuiscono all’eccessiva burocrazia interna e dei processi decisionali farraginosi che il Piano di Unicredit vorrebbe eliminare. Specie perché il Piano mostra come 12 dei 17 miliardi di capitale di Unicredit sono allocati tra Italia e Germania, proprio i paesi con la minore redditività e maggiormente refrattari al cambiamento.

Orcel è riuscito a trasmettere ottimismo sul futuro di Unicredit, ma promettendo tanto agli azionisti: che riesca a mantenere, è da vedere. E il “Ronaldo dei banchieri” non dovrebbe dimenticare che, restando nella metafora calcistica, basta qualche partita giocata male per passare dai cori di osanna alle salve di fischi.

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