Forse è arrivato il momento di negoziare un concordato Stato-Ferragnez, per perimetrare l’influenza degli influencer sulla vita pubblica e la politica. Qualche giorno dopo la clamorosa protesta diplomatica del Vaticano contro la legge Zan sull’omotransfobia, arrivata tramite discreti ambasciatori e rivelata poi dal Corriere della Sera, sul fronte opposto si mobilita Chiara Ferragni che, in mezzo a due spot dello shampoo Pantene (ci tocca citarlo, a riprova dell’efficacia dell’investimento), infila una polemica contro Matteo Renzi che si schiera con Salvini per affondare la legge Zan.

Segue commento un po’ vintage, «che schifo che fate politici», senza virgola, che fa tanto 2009-2010, quando le proteste anti-casta univano il Corriere della Sera, la Confindustria e il neonato Movimento Cinque stelle.

Su Twitter e altri social Renzi risponde, dice che la politica è una cosa seria, che lui ha fatto la legge sulle unioni civili, sfida Ferragni, «pronto a confrontarmi anche con chi mi insulta!» (gli piacerebbe, a Renzi, col nuovo libro in uscita, una diretta Instagram con i 24,1 milioni id follower di Chiara Ferragni…).

Controreplica Fedez, il marito, un tempo cantante oggi tante altre cose insieme, anche lui con toni da vaffa-day: «Stai sereno Matteo, oggi c’è la partita, c’è tempo per spiegare quanto sei bravo a fare la pipì sulla testa degli italiani dicendogli che è pioggia». Renzi non osa più replicare.

Ai 24,1 milioni di follower di Ferragni si sommano così i 12,6 di Fedez.  Una parte saranno sovrapponibili, ma la loro influenza si estende poi su altri social (su Twitter Fedez ha 2,5 milioni di follower, per esempio). Calcoliamo, a spanne, che il loro intervento sulla legge Zan abbia raggiunto 30 milioni di persone che, consapevolmente, hanno scelto di seguirli sui social, sanno che smalto si mettono (entrambi), che pigiama ha il figlio Leone, come sta crescendo la piccola Vittoria Lucia.

Il Vaticano se la passa molto peggio: secondo l’Istat le persone che vanno a messa una volta a settimana sono appena 14,3 milioni, se il Papa o chi per lui vuole provare a influenzarne le opinioni politiche, diciamo sulla legge Zan, deve appunto passare attraverso ambasciatori, che poi parlano col governo, oppure attraverso la Conferenza episcopale, che tramite i vescovi cerca di sensibilizzare i parroci, i quali però hanno spesso le loro opinioni, e oltre ai parroci ci sono i preti che rispondono ai parroci, anche questi non sempre controllabili…

Insomma, c’è un concordato aggiornato nel 1984 che regola l’ingerenza della Chiesa nella vita pubblica italiana, ma sembra un problema assai superato rispetto all’ingerenza dei Ferragnez.

Concorrenza sbaragliata

Tecnicamente, papa Francesco e i Ferragnez operano nello stesso settore: promettono serenità, gratificazione e identificazione con personaggi carismatici che facciano da modello di vita. Il Papa eredita un marchio con una lunga tradizione ma un po’ logoro e fuori moda, perché prospetta gratificazioni soprattutto nel lungo periodo.

I Ferragnez invece hanno costruito il loro culto sull’appagamento in tempo reale, sempre disponibile. La concorrenza ormai è su tutto, dopo una prima fase disimpegnata ed edonista, Chiara Ferragni e Fedez hanno invaso anche il mercato della famiglia tradizionale (la loro) e quello dei valori non negoziabili (i loro). Stanno vincendo su tutta la linea.

Indendiamoci: io sono anche d’accordo nel merito, ma chi ha a cuore la democrazia liberale dovrebbe porsi la questione della concentrazione del potere a prescindere da come questo venga usato.

I tanti che, giustamente, si preoccupano delle minoranze oppresse dalle maggioranze e per questo difendono la legge Zan, dovrebbe fare un pensierino anche su come si sente in Italia una persona che la pensa diversamente dai Ferragnez su un qualunque argomento.

La zona grigia

Se i Ferragnez fossero giornalisti, non potrebbero fare i testimonial e il loro impero crollerebbe. Se fossero politici, marchi come Pantene dovrebbero sottostare alla disciplina sul finanziamento pubblico ai partiti, sapremmo quanto hanno pagato per sostenere la causa (anche questa giustissima) dell’imprenditorialità femminile accanto agli insulti a Renzi.E la richiesta di trasparenza si legittima proprio per avere chiaro come interessi privati influenzano le decisioni collettive, un paradigma che si applica anche ai Ferragnez.

Multinazionali come Amazon, le cui prospettive dipendono moltissimo dalla regolazione della politica, hanno capito che è un ottimo affare garantirsi il consenso di un influencer del calibro di Fedez scegliendolo come testimonial: casomai gli venisse da twittare sulle questioni del lavoro nel settore della logistica, ci penserà due volte.

Nessun finanziamento a partiti (o pubblicità ai giornali) avrebbe potuto garantire ad Amazon un simile scudo protettivo. Chi compra Fedez, poi, ha in omaggio anche un po’ di Ferragni, visto che i due si muovono in sincrono.

I Ferragnez, insomma, stanno in una comoda zona grigia, non regolata, dove tutto è lecito e niente è dovuto.

Ci è già capitato una volta di aver a che fare con un imprenditore dell’intrattenimento che a un certo punto ha deciso di usare la sua popolarità per fare politica e ha dimostrato anche di saper condizionare il processo legislativo sulla base delle proprie esigenze (non parlerei in quel caso di idee).

Non è finita benissimo, ma è passato abbastanza tempo che cominciamo a dimenticarci la lezione.

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