Quello che è avvenuto in Polonia sta avvenendo anche in Italia. Se in quel paese è da tempo iniziato un tentativo di forzare l’interpretazione storica riguardante il collaborazionismo dei polacchi alla Shoah, spostando integralmente le responsabilità sui nazisti, nel nostro paese l’anno scorso nel consiglio regionale del Friuli e quest’anno in quello Veneto sta accadendo una cosa molto simile per quanto riguarda la storia del confine orientale. Stesso metodo, colpire la ricerca non addomesticata alle letture imposte politicamente, arrivando addirittura a fissare limiti quantitativi minimi e imponendo concetti e terminologie.

Con la mozione n. 29 del Consiglio Regionale Veneto si tenta di limitare i fondi economici – e quindi le possibilità di divulgazione - a chi, secondo loro, è colpevole di “riduzionismo” o “negazionismo” nei confronti dei crimini del confine orientale.

Un abominio storiografico e democratico, che sovverte l’interpretazione originale del crimine del negazionismo riferito alla Shoah.

In questo caso i veri negazionisti confutano l’evidenza pur di affermare un concetto politico, cercando in modi scorretti di scardinare un fatto storico assodato, ovvero l’omicidio programmato su base razziale della comunità degli ebrei d’Europa.

Gli storici che combattono questo triste fenomeno hanno contestato le idee, la narrazione storica ma soprattutto le politiche sottese, attraverso i documenti e le testimonianze, ma nessun ha mai imposto i numeri, tanto è vero che i morti nei Vernichtungslager, i famigerati campi di sterminio, grazie al lavoro degli storici, nel corso degli anni sono diminuiti, ma questo non ha inciso sulla gravità del fatto.

Il nuovo negazionismo

Questo nuovo negazionismo, parte dal contrario imponendo numeri e statistiche non confermati dalla comunità degli storici e forzando interpretazioni anche su concetti giuridici prefissati da organismi internazionali, come per i crimini di Genocidio e Pulizia Etnica.

L’istituto Nazionale Ferruccio Parri ha inviato una lettera aperta al Presidente Mattarella per denunciare la pericolosa intromissione della politica nella libertà di ricerca storica, oltretutto in un argomento particolarmente sensibile.

Il gap di conoscenza

Come scrivevo in altri miei articoli su questo tema, queste metodologie sono molto efficaci, soprattutto perché sfruttano il gap, che è molto ampio, che esiste tra la ricerca accademica e le conoscenze reali dell’opinione pubblica. È un male atavico, diffuso non solo in Italia; l’accademia ha da tempo affrontato e a modo suo spiegato molti dei tanti nodi della storia del “secolo breve”, ma i risultati di questi studi non hanno contribuito alla formazione della gente comune.

Dalla resistenza al fascismo, dal confine orientale alle stragi nazifasciste, dal negazionismo ai cosiddetti crimini partigiani, dall’analisi dei luoghi della Memoria alle problematiche sulla resa attuale delle passate politiche della memoria, molto è stato analizzato e studiato dagli storici.

Purtroppo buona parte di questi argomenti sono rimasti patrimonio di pochi intimi, queste narrazioni storiche non sono arrivate al grande pubblico, rimasto invece attaccato a vulgate di vario genere, populismi storici.

Queste dinamiche non sono mai scaturite da un solo fattore: a mio non è la mancanza di letteratura specifica, anche vi sono lacune su alcuni collegamenti con la storiografia internazionale, vi è comunque materiale a sufficienza; forse più significative sono le sponde politiche a cui appoggiano queste vulgate, ma anche queste a mio avviso non sono decisive, cosi come le dinamiche interne – fragilità comprese - al mondo universitario non riescono a spiegare questa deriva.

Per cercare di individuare i problemi scatenanti di questa situazione di fatto individuo due motivazioni, una formativa e una politica. Per lavoro incontro tra i 3.000 e i 5.000 studenti ogni anno, ritengo quindi di conoscere bene il pubblico degli insegnati, ho la fortuna, il più delle volte, di collaborare con i più preparati, capaci e motivati, ma spesso mi rendo conto che sono una  minoranza.

Per loro formazione universitaria molti professori di storia, sono laureati in Lettere, ma soprattutto vivono la grande cesura che vi è fra Accademia e formazione degli insegnanti, che si manifesta nei libri di testo di storia, spesso obsoleti se non addirittura proprio scorretti.

Vi è uno scarto formativo, sono sostanzialmente appoggiati ad una storiografia passata, che ha già manifestato i suoi limiti e le sue problematiche d’approccio generale.

Sono proposte storiografiche rituali, che non permettono né riflessioni né passioni, che hanno gravi ricadute sulla formazione specifica dei nostri studenti, futuri uomini e donne, elettori e elettrici del nostro paese.

L’educazione civica

L’altra grande mancanza, per dirla alla tedesca, è quella di una Politische Bildung (l’educazione civica), oggi timidamente ritornata in classe, ma per lunghi anni assente dal panorama scolastico e per i più grandi di un programma di Berufliche Weiterbildung (educazione permanente). Non ho usato l’esempio tedesco a caso.

Voglio partire da una affermazione di importante scrittrice tedesca, Géraldine Schwarz: lei ha dichiarato che in Germania, i figli hanno messo sotto accusa i padri che avevano combattuto la guerra, e che questa, più dei processi, è stata la vera denazificazione del popolo tedesco.

Tale processo ha permesso, almeno per lungo tempo, anche se oggi il paese teutonico non scevro da queste derive come dimostrano le prese di posizione del partito di destra Alternative für Deutschland, di mettere al bando le i tentativi di addomesticare letture storiche scomode allo stato federale, vedi le ricerche sui crimini di guerra commessi dalla Wehrmacht.

La “denazificazione” della società tedesca ha avuto un peso molto forte nelle politiche tedesche, determinando un grande impegno pubblico nella formazione civica e democratica del proprio popolo.

Alcuni esempi: libri considerati particolarmente educativi prodotti a basso costo, concessione di giornate di ferie ai lavoratori per visitare luoghi significativi dal punto di vista storico\civile, formazione storico\politica delle forze dell’ordine e delle forze armate, importanti finanziamenti per la realizzazione di musei ma anche regole chiare per partecipare a queste attività formative. In sostanza un’ente di formazione civica pubblico, su base nazionale.

Sono quindi percorsi lunghi, non esistono ricette facili, esiste un importante lavoro che deve essere svolto da una molteplicità di attori e che dovrebbe essere coordinato dalla politica nazionale.

Dovrebbe essere una delle principali battaglie del nuovo governo Draghi, senza questa nostra evoluzione civile, nessuna riforma economica duratura potrà essere mai impianta nel nostro paese.

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