Anche i migliori attori possono rimanere prigionieri dei propri personaggi. Harrison Ford, a 78 anni, ha dovuto nuovamente indossare il cappello consunto di Indiana Jones. E se la politica italiana è teatro, o teatrino come qualcuno ama dire in tono spregiativo, Giorgia Meloni è senza dubbio la nostra Harrison Ford. Ostinatamente fedele al proprio personaggio. Cosa che vista da lei è ovviamente un pregio perché, per dirla con le sue parole, «onestà, coerenza e coraggio sono valori che Giorgio Almirante ha trasmesso alla Destra italiana e che portiamo avanti ogni giorno».

Allora se la coerenza è un valore e paga nei sondaggi (Fratelli d’Italia è passato dal 6,5 per cento del maggio 2019 al 16,3 per cento di oggi), non c’è motivo per recitare un altro copione. Anche perché i voti in più si tradurranno alla prima occasione utile in eletti, posti in lista, poltrone disponibili. Saranno gli altri, semmai, a muoversi per elemosinare una candidatura.

Così, aiutata da quella capacità tutta romanesca di irridere e sentenziare, Meloni bullizza «l’avvocato Conte» ed empatizza con le vittime della crisi, invoca le urne e si fa paladina del «destino della Nazione». Ma l’impressione, vedendola e ascoltandola, è che tutto ciò si compia all’interno di un recinto.

Uno spazio circoscritto e conosciuto da cui la leader di Fratelli d’Italia non sembra intenzionata a uscire, quasi avesse paura di tradire la sua base elettorale che, troppo esigua per darle la leadership del centrodestra e portarla a palazzo Chigi, le ha comunque permesso di arrivare a guidare i conservatori europei. Inutile aspettarsi un’invenzione, un atto di coraggio, persino una facile e scontata presa di distanza pubblica dalle follie di Donald Trump. Meloni era, è e sarà sempre Meloni. Prigioniera del suo personaggio.

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