Arturo Schwarz ci ha lasciati. Aveva 97 anni. Ancora un mese fa abbiamo discusso dell’influenza dei surrealisti nella scena contemporanea. La sua fede nel Surrealismo come visione del mondo era tale da fargli pensare che fosse impossibile che il pensiero di intellettuali e artisti che egli aveva a lungo frequentato avesse potuto esaurire la sua forza generatrice. Amico di Breton, di Duchamp, di Man Ray, Schwarz, non ha mai smesso di dichiararsi anarchico troskista e di cerchiare la A del suo nome ogni qualvolta scriveva una dedica. Di Lev Trotsky conservava un biglietto da visita in cornice. Rimpiangeva di non aver fatto in tempo a conoscerlo. Avrebbe dovuto raggiungerlo in Messico, ha raccontato spesso, ma poco prima un sicario lo uccise.

Come anarchico in Egitto – dov’era nato nel 1924 – aveva conosciuto la prigione e la tortura. Accusato di sovversione nel 1949 fu condannato all’impiccagione. Scampò alla morte per pochi giorni, salvato dall’armistizio tra Egitto e Israele. Come ebreo dovette proteggersi dalle persecuzioni. Il suo antifascismo era viscerale. Eppure quando si parlava di Mario Sironi, notoriamente fascista, diceva che, al di là delle idee politiche, Sironi rimaneva “il nostro Picasso”. Nonostante il giudizio politico su di lui fosse durissimo, ne espose le opere nella sua galleria, pur non gradendone la presenza all’inaugurazione. Sempre nella sua galleria espose René Magritte, Man Ray, Sebastián Matta, Miró, Marcel Duchamp, Max Ernst e Francis Picabia.

Fu Schwarz a suggerire a Duchamp e Man Ray di trasformare in multipli i primi ready made, attribuendo una doppia data, quella in cui erano stati concepiti e quella in cui erano stati rifatti. Trattandosi di oggetti d’uso comune trasformati in opere d’arte dando loro un titolo o attraverso interventi minimi, queste opere, molte delle quali erano peraltro andate perdute, differivano ben poco dalle prime realizzate.

Il rapporto con Duchamp

Saggista, libraio, editore, gallerista, poeta, antropologo, curatore di mostre, Schwarz ha svolto queste attività sempre con grande entusiasmo. Il suo libro La sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, pubblicato da Einaudi nel 1974, ha segnato un momento importante nella formazione di molti appassionati d’arte. Da ragazzo ne fui talmente affascinato che iniziai a tempestarlo di lettere. Allora vivevo a Siracusa. Con sorpresa (e con gioia) ricevetti una copia del suo libro L’immaginazione alchemica, pubblicato da La Salamandra. La dedica indica che il libro mi era stato spedito l’11 maggio 1980. Qualche mese dopo ero da lui a Milano. Diventammo subito amici. Non avrei mai immaginato allora che avrei pubblicato un suo libro come editore né che dalla nostra amicizia sarebbe nata una fitta collaborazione.

Tempo fa, non ricordo di preciso quando, mi chiamò per dirmi che quello era uno dei giorni più tristi della sua vita. Andai a trovarlo e mi raccontò che quando aveva fatto fare i multipli a Duchamp, per ogni lavoro erano state previste anche due exhibition copy, due esemplari cioè non firmati e numerati, ma identici a quelli firmati.

Li aveva previsti perché fossero utilizzati per le esposizioni. «Inutile mandare in giro degli originali che possono andare perduti o che si possono rovinare», aveva detto a Duchamp, per le mostre meglio mandare le nostre copie da esibizione. A distanza di tempo gli eredi di Duchamp ne avevano chiesto la distruzione. Lui a quel punto propose che quegli esemplari potessero continuare ad essere esposti senza mettere a rischio gli originali firmati. La proposta fu rifiutata: quei lavori per gli eredi andavano distrutti.

Nel raccontarmi questa storia Arturo disse che la distruzione di quelle opere, fatte con il consenso e con l’entusiasmo di Duchamp, assumeva sul piano simbolico il significato di una perdita irreparabile. Si chiudeva una parentesi.

Nel 2012 chiesi che fosse invitato in Cina a un convegno organizzato in occasione della mostra di Wang Guangyi al Today Art Museum. La sera dell’inaugurazione, alla cena, ci disse che la camicia che indossava era un regalo di Fidel Castro.

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