L’albergo dei poveri a Napoli è una delle testimonianze più alte del dispotismo illuminato di Carlo di Borbone. Nel 1751 chiamò nella capitale Luigi Vanvitelli per il progetto della Reggia di Caserta e Ferdinando Fuga, architetto fiorentino di cultura classicista, che a Roma aveva già costruito la “manica lunga” al Palazzo del Quirinale e il Palazzo della Consulta. L’architetto scelse il sito alle cui spalle si leva la collina di Miradois con il suo verde, una quinta ideale per il rigoroso volume della fabbrica; un saggio intento paesaggistico aveva certamente presieduto a questa ubicazione, in quanto il Reclusorio veniva così organicamente integrato nella struttura naturale dei luoghi. Inoltre lo si costruì lungo via Foria, che in questi anni assume la funzione di ingresso d’onore della città.

I soldi dall’Europa

Centocinquanta milioni del Next generation Eu sono stati destinati alla ristrutturazione e rifunzionalizzazione dell’albergo dei poveri di Napoli. Le nuovi funzioni saranno «culturali, espositive, museali, di formazione, sociali e direzionali», così si legge testualmente nel documento fortemente voluto dai ministri Mara Carfagna e Dario Franceschini. Il finanziamento permette di sottrarre l’opera alla dismissione, affinché resti un bene della città. A questo progetto in fieri lavora già da tempo il vicesindaco e assessore all’urbanistica Carmine Piscopo. Ma il vero problema sono le nuove funzioni che per la verità sono state indicate genericamente.

Paolo Giordano, specialista rinomato di Ferdinando Fuga, ritiene necessario estendere il finanziamento al cimitero delle 336 fosse realizzato nel 1762. Una proposta del tutto condivisibile, essendo per altro opera dello stesso architetto.

La vita all’albergo dei poveri

Al visitatore che giungeva a Napoli dalla parte più alta di via del Campo, si profilava la fuga prospettica della facciata maggiore del Reclusorio, lunga 364 metri per 120 di larghezza. La mappa del Duca di Noja (1775) raffigura invece l’albergo dei poveri nello sviluppo previsto dal progetto, con il fronte più lungo di 600 metri e con sei corti. La parte costruita corrisponde a un quinto del volume progettato, poi ridotto dallo stesso Fuga a tre corti per oltre 300 metri e 120 di larghezza quale oggi ci appare. Il reclusorio era destinato a ospitare ottomila poveri e diseredati del regno; essi erano separati per sesso ed età. La vita quotidiana all’interno del Reclusorio indirizza ciascuna di esse alle diverse attività formative o lavorative che si svolgevano secondo gli indirizzi decisi dai governatori e controllate dai ministri della “pia istituzione”.

Fuga adottò un sistema compositivo modulare e innovativo e collocò nella corte centrale dell’edificio una grande chiesa a pianta centrale coperta da una cupola, con quattro navate a croce di Sant’Andrea, che fu solo avviata. Il cantiere rimase aperto per molti lustri, senza che questa immensa fabbrica fosse mai completata.

Nel 1759 il “buon re Carlo” lasciò la sua amata Napoli per sedere sul trono di Spagna e il reggente primo ministro Bernardo Tanucci fu molto rigoroso nel controllo delle spese. Nel 1781 morì Fuga e queste circostanze concomitanti contribuirono al rallentamento dei lavori in questo immenso cantiere. La facciata su piazza Carlo III è a due piani con al centro l’imponente scala d’accesso a doppia rampa che dà a tre grandi archi di accesso e in cima un frontone. Questa parte del Reclusorio fu terminato, non così il volume parallelo che guarda la collina di Miradois. Questo corpo smozzicato e incompiuto lo scorge chiunque giunga a Napoli dall’autostrada del Sole o dall’aeroporto di Capodichino.

L’albergo dei poveri si configura come una cittadella destinata ai diseredati di un Regno in cui il pauperismo era una endemica piaga.

La biblioteca del Mediterraneo

Da molti decenni l’albergo dei poveri è una rovina che suona vergogna alla classe dirigente della città – è infatti di proprietà del comune dal 1980 – e alla gestione dei beni architettonici del paese. Ora qualunque ipotesi d’uso deve, in primis, misurarsi con la qualità architettonica del manufatto e con la sua storia stratificata.

La destinazione d’uso che avanzai fu quella di un mallo, a cui aggregare molteplici attività congrue: continuo a credere che questo nocciolo possa essere la biblioteca nazionale di Napoli, oggi a palazzo Reale in spazi del tutto inadeguati alla crescita di oltre due milioni di volumi e alle funzioni di una moderna biblioteca. A sostegno di questa ipotesi c’è il vantaggio di liberare larghi spazi a palazzo Reale, affinché siano ricondotti alla sua naturale destinazione museale. Per altro, secondo le intenzioni del ministro Dario Franceschini, palazzo reale è destinato a polo museale e non si vede come possa divenirlo con il largo spazio occupato dalla biblioteca nazionale.

Gli spazi dell’albergo dei poveri sono per la loro modularità, e senza che si debba intaccare o lederne i caratteri tipologici di Fuga, del tutto idonei a ospitare quanto necessario a una grande biblioteca del Mediterraneo, potenziata e aperta cioè alle civiltà e alle culture che ne sono parte. In tal caso coinvolgendo in questo ambizioso progetto i paesi che affacciano nel Mare Nostrum. Questo il nocciolo.

Sull’ipotesi di trasferimento della biblioteca nazionale nell’Albergo dei poveri espresse il suo consenso il direttore Francesco Mercurio, come altri suoi predecessori esperti di biblioteconomia. Per altro la Bibliotéque Nationale de France ha conservato in Rue Richelieu il mallo storico della collezione e ha costruito ex novo la Bibliotéque Nationale de France, nel sito di Tolbiac, fuori città. A Napoli si ha il vantaggio che l’albergo dei poveri è nel cuore della città: una delle fabbriche più insigni e possenti dell’Europa dei Lumi oggi ridotta a rovina piranesiana.

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