Trasformò il collezionismo di monete e affrancature in uno sport nazionale. Con i suoi cataloghi rivoluzionò il mondo dell’editoria e quello dell’arte
È andata così. Nel 1890, il giovanissimo Alberto Bolaffi abbandona l’attività commerciale di famiglia, le biciclette (anche se da qualche parte si parla invece di pietre preziose e piume di struzzo, vai a capire), per gettarsi sulla filatelia. Attività che passa al figlio Giulio e poi al nipote Alberto, deceduto ieri.
Il nipote di Alberto, Giulio Filippo, ora guida il gruppo di famiglia, quello che fa: filatelia, numismatica, ma in generale si occupa di tutte le possibili sfaccettature del collezionismo in Italia e nel mondo.
Cataloghi e Gronchi rosa
Passo indietro. Il primo Giulio Bolaffi, finita la Seconda guerra mondiale, assume alcuni dei partigiani che avevano combattuto al suo fianco sulle montagne della Valle di Susa per lavorare alla “Settimana nel Mondo”, primo periodico di informazione del dopoguerra (queste informazioni le prendiamo dal sito Bolaffi, della cui precisione siamo certi, ovviamente). Da quelle colonne sarebbero nati “La Settimana Filatelica” e quindi “Il Collezionista – Italia filatelica”. Poi il “Catalogo nazionale di francobolli” italiani pubblicato nel 1956. E infine arriva il “Catalogo Bolaffi dell’arte moderna”, opera rivoluzionaria tanto per l’editoria quanto per il mercato dell’arte, che forniva per la prima volta le quotazioni degli artisti e delle loro opere in base a criteri oggettivi e documentati.
Infine, volumi di ogni genere, che trasferirono i concetti di qualità e di rigore già applicati alla filatelia ad altri settori del collezionismo: dalla scultura all’antiquariato, dalle automobili alle armi da caccia, dai vini alle grappe. Vedi, chessò, “Catalogo delle monete e delle banconote” del 2009, tra quelli più tranquilli.
È quest’ultima botta pop – cataloghi di qualità di ogni tipo – a rendere Alberto Bolaffi una leggenda. In parte rinforzata dalla baruffa intorno al leggendario Gronchi Rosa, il francobollo che visse un solo giorno, il 3 Aprile del 1961. Era dedicato alla visita del Presidente Gronchi in Sudamerica che sarebbe avvenuta nelle ore successive ma conteneva una grave cappella sui confini del Perù che – segnalata con veemenza dall’Ambasciata di quel paese – aveva portato al ritiro immediato della tiratura e alla sua sostituzione con Perù messo a posto e colore grigio.
Nel frattempo l’ordine perentorio di recuperare tutti gli esemplari della prima tiratura era stato rallentato dalle vacanze pasquali in corso all’epoca e insomma 80. 000 esemplari erano sfuggiti alla cattura.
Nascita del collezionismo
Da lì la nascita di un oggetto di investimento vero e proprio, che Bolaffi ha gestito alla grande fino ad oggi. L’operazione clamorosa, in assoluto, di Alberto Bolaffi è stata quella di trasferire una mania, la filatelia, di cui fregava a pochi a sport nazionale. Chiunque di noi nati nella seconda metà della seconda metà del Novecento ha ricevuto in dono un album per collezionare francobolli, di cui abbiamo cercato in ogni modo di interessarci. L’operazione non è stata tanto improntata sul rettangolino cartaceo – tanto è vero che il campo poi si allargò, per l’azienda in causa – ma sull’idea che il mondo fosse disponibile, percorribile in modo tattile, conoscibile, divisibile in categorie infinite e qualunque cosa fosse in grado di essere rappresenta in modo figurativo, proprio mentre era l’astratto semmai ad imperare in tutto il resto della cultura visuale.
Ma come fare a non raccogliere i cosmofrancobolli che furono spediti in Russia agli astronauti lassù (non chiediamoci come) e poi rimetterli in vendita a prezzi furiosi, giustamente? Come non entrare in estasi per uccelli di ogni tipo, signore e signori di ogni genere e più in generale per questa idea stessa di celebrazione dell’evento (non appena si poteva) in forma strambamente cartacea?
La cosa bella della stessa filatelia è che ha più valore se non “agita”, se è priva del suo scopo (essere parte di una cosa – una lettera, un pacco – non spedito poi): quella di essere accadimento puro.
E questa verginità, questo francobollo zigrinato non penetrato dalla meccanica del bollo postale o della distribuzione a renderlo un oggetto immacolato, radiante. Molte le cose da dire: l’idea di farsi un piccolo museo in casa propria (protetto da piccole teche di plastica), la costituzione decenni e decenni prima di una inter-net di appassionati che proprio per lettera comunicavano e si ramificavano, il piacere incredibile del ritrovamento di perle e oggetti cercati con amore infinito e lunghissimo, l’esistenza di una vita completamente sentimentale non per persone umane ma per oggetti luminosi e nascosti. Ma che nelle mani del collezionista assumono di fatto un valore trascendente.
Bolaffi ha fatto poi l’altra operazione clamorosa di cui si diceva prima: diffondere in tutta Italia attraverso il suo celebre catalogo una buona summa dell’arte di ogni epoca, facendo così precipitare nei neo-tinelli della formanda piccola borghesia altre gemme radiose, e che entravano così in quella specie di cabinetto delle curiosità che ciascuna casa “moderna” inevitabilmente ha composto, anche suo malgrado.
Insomma, Bolaffi ci ha insegnato la capacità del collezionista (o nel suo caso un collezionista che a sua volta colleziona per altri collezionisti) di diventare mago. E suscitare così nel soggetto dormiente un “insaziabile desiderio”, che lo farà scuotere per tutta la vita, trasformandolo di fatto in un erotomane, nascosto o allo scoperto non importa.
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