Le altre van Gogh: uno sguardo diverso sul pittore

La foto in bianco e nero, sbiadita dal tempo, li ritrae nella sala da pranzo della loro casa, al numero 77 di Koninginneweg, una strada nella parte sud di Amsterdam. Vincent van Gogh, nipote omonimo, è seduto su una poltrona, al tavolo Jo Cohen Gosschalk-Bonger e Johan Cohen Gosschal. Alle loro spalle uno dei quadri della serie dedicata al ponte di Langlois, che van Gogh ha dipinto ad Arles nel marzo del 1888, e Il raccolto, opera del giugno 1888, realizzata sempre nei dintorni della cittadina francese. Piccole tracce di Vincent van Gogh in un’immagine che, in realtà, racconta molto del pittore e di ciò che è accaduto dopo la sua prematura morte, all’età di 37 anni, nel luglio del 1890. La foto è stata scattata tra la fine del 1910 e l’inizio del 1911. Nel 1891, un anno dopo l’amato fratello, è morto Theo van Gogh. Jo Bonger è stata sua moglie per appena due anni, Johan Cohen Gosschal è il suo secondo marito. Dopo la scomparsa di Theo, Jo Bonger ha deciso di realizzare il suo principale desiderio: fa conoscere al mondo la grandezza dell’opera di Vincent van Gogh. Hans Luijten, ricercatore presso il Van Gogh Museum di Amsterdam, in una sua pubblicazione del 2022, l’ha felicemente descritta come «la donna che ha reso famoso Vincent». Senza paura di sembrare esagerati, si potrebbe addirittura parlare della donna che ha «creato» van Gogh per come lo conosciamo, apprezziamo e veneriamo oggi. L’arte è una cosa antichissima. Per questo non può morire È stata lei a venderne parte delle opere, circa 200 dipinti e oltre 50 disegni. È stata lei, nel 1905, a organizzare la più grande retrospettiva dedicata a van Gogh allo Stedelijk Museum di Amsterdam. È stata lei a tradurre e a decidere di dare alle stampe le lettere tra Vincent e Theo che hanno permesso di conoscere gli aspetti più intimi del pittore e anche la sua idea di arte. Cosa sarebbe successo se, per preservare l’intimità di un rapporto, avesse deciso di tenere per sé quella corrispondenza? Cosa sarebbe successo se l’intuizione di Theo, da sempre convinto della grandezza del fratello, non avesse fatto breccia nel cuore della moglie fino a spingerla al «sacrificio per la gloria di Vincent»? Così, ad esempio, Jo Bonger scriveva al direttore della National gallery di Londra, nel 1924, dopo aver deciso, non senza difficoltà, di vendere al museo uno dei due quadri che possedeva, appartenenti alla serie di cinque, che più di altri rappresentano l’opera di van Gogh: I girasoli. Un «sacrificio» impossibile, e qui si torna a percorrere le tracce di quell’immagine sbiadita, per un altro dipinto, Il raccolto, che per preferenza e ragioni affettive, rimarrà fino alla fine alla famiglia. La famiglia, con la sua trama di affetti, sembra essere il grande palcoscenico su cui si muove la vita, e la vita dopo la morte, di van Gogh. Scriveva Theo, in una lettera alla sorella Willemien nel marzo 1887: «È certo che lui è un artista e quello che realizza adesso potrà anche non essere bello, ma gli tornerà sicuramente utile e allora forse è sublime e sarebbe un peccato se gli si impedisse di studiare regolarmente. Per quanto possa essere poco pratico, l’importante è che diventi bravo, arriverà sicuramente un giorno che comincerà a vendere». Le opere di Ana Mendieta rivivono grazie alle lotte femministe «Mia cara sorella» Il brano è contenuto in Vincent van Gogh. Lettere a mia sorella, libro di Willem-Jan Verlinden, studioso di storia dell’arte da poco pubblicato da Donzelli. Theo e Willemien rappresentano, tra i sei figli del pastore Theodorus van Gogh e di Anna van Gogh-Carbent, quelli spiritualmente più affini a Vincent. Il primo, mercante d’arte, è stato indubbiamente il suo mecenate al punto che il pittore, come racconta Jan Verlinden citando una delle lettere tra i fratelli datata 26 agosto 1882, sentendosi in difficoltà per i soldi ricevuti da Theo, gli propone di considerarli come una cifra in cambio della quale il fratello otterrà la proprietà di tutti i suoi dipinti e disegni. L’educazione delle donne La seconda, la più piccola fra le sorelle, è stata per Vincent «un’interlocutrice con cui scambiare pensieri in modo più profondo che non in una corrispondenza familiare dovuta. In quasi tutte le sue lettere alla sorella parla di romanzi e di poesia, suggerendole di continuo libri da leggere». Non è quindi un caso che i loro dialoghi a distanza, quelli celebri con Theo e queste 25 lettere con Willemien raccolte per la prima volta in un’unica opera, siano parte fondante di una narrazione che, nel tempo, non può non coinvolgere anche la figura di Jo Bonger. È alla cognata che, nel 1893, Willemien esprime la sua perplessità: «Talvolta penso se non sarebbe meglio aspettare con la pubblicazione di tutte le lettere fin quando vive Ma (la madre Anna ndr) e poi senza tenere nascosto nulla, tutto». Femminismo è non stare sole. Bronzini Majno e le sue sorelle Emancipazione femminile Ma c’è anche qualcosa di più profondo che lega le due donne. Entrambe, in modi diversi, rappresentano due storie di emancipazione femminile in un’epoca, quella a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, di cambiamenti sociali e politici. Una mostra, allestita presso il Van Gogh museum di Amsterdam (I Am Jo!, che si è conclusa a fine agosto) ha raccontato bene il lavoro svolto da Jo che le ha permesso, ancora oggi, di essere d’ispirazione per un centinaio di donne che, provenienti da diversi quartieri di Amsterdam, hanno avuto la possibilità, attraverso un progetto realizzato dal museo in collaborazione con la rete femminile Samen Sterk met Werk, di esplorare la loro creatività e la loro identità, ispirandosi a temi della vita di Jo. Più complessa la figura di Willemien. Di lei sappiamo che ha avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione dell’Esposizione nazionale del lavoro femminile che si è svolta all’Aia nel 1898. Un evento che, oltre a rivelarsi un successo e a segnare l’inizio del movimento per l’emancipazione femminile in Olanda, le consente di mostrare a tutti le sua capacità di organizzatrice e la fa entrare in contatto con un fermento di idee e voglia di cambiamento. Il letterario è politico: quella delle scrittrici del Novecento è una storia d’impegno Sembra l’avvio di un percorso di successo, è un punto di non ritorno. Le ombre che avevano offuscato parte della vita di Vincent, inghiottono anche quella di Willemien. Il 4 dicembre 1902 viene ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Veldwijk. Ha quarant’anni. La visibilità ottenuta solo qualche anno prima si trasforma presto in un progressivo e inesorabile ritiro dal mondo. Quando muore, il 17 maggio 1941, all’età di 79 anni, l’atto finale della sua vita si consuma nel quasi totale silenzio. In pochi si accorgono della sua morte, nulla si sa dei suoi funerali. Dopotutto ha trascorso 38 anni all’interno di un ospedale. Può sembrare un paradosso ma, mentre Willemien scompare, probabilmente ignara di ciò che sta accadendo nel mondo, Vincent, grazie a Jo, ottiene la consacrazione e la visibilità che gli erano mancate in vita. La vendita delle sue opere, favorita dal lavoro della cognata, serve anche a mantenere la sorella e a pagare la sua degenza. E il cerchio della vita sembra chiudersi. [Missing Caption][Missing Credit]