Il posto che spetta ai Promessi Sposi all'interno della storia della letteratura italiana rimane centrale, così come la necessità che la vicenda di questo grande romanzo, con i suoi luoghi e i suoi personaggi, non vada a sbiadirsi, ma mantenga invece sempre vividi i colori che già la mente di Alessandro Manzoni aveva immaginato tali.

Il consolidarsi di questa “memoria romanzesca” passa ovviamente dalla scuola: all'interno di un insegnamento, quello della letteratura italiana, che vede, come tutti gli altri, contrazioni dei tempi a disposizione e un indirizzo sempre più performativo che mira alla traduzione numerica delle conoscenze, leggere, commentare e condividere il romanzo di Alessandro Manzoni diventa una necessità, un toccasana fondamentale per molti motivi oltre a rappresentare una coraggiosa sfida agli spesso desolanti dati sulla lettura.

Innanzitutto perché si dà la possibilità di scoprire e vedere formarsi durante la lettura l'immagine di un canone che segna buona parte della letteratura che verrà e che, per certi aspetti legati alle forme presenti delle narrazioni storiche, forgia anche il romanzo ultra-contemporaneo, dall'altra, in maniera molto più semplice, perché i Promessi sposi, dove Manzoni ha romanzato, per dirla con Carlo Emilio Gadda, «nei poveri, negli umili, negli incorrotti o nei fatalmente oppressi i risorgenti protagonisti della storia umana, della salvezza biologica: e li ha immaginati a dire (in battute inimitabili) e a sentire e patire e volere come tali» è un libro straordinariamente coinvolgente e divertente da leggere in classe in tutta la sua purezza, evitando riduzioni o semplificazioni e accettando tutti quegli aspetti che lo fanno apparire spigoloso e, talvolta, fuori tempo massimo (dalle digressioni storiche alla lingua che certamente collima poco con quella di uno studente).

L’uomo

In un autore in cui la scrittura diviene un demone insaziabile che, in particolar modo con il lungo lavoro sui Promessi sposi, risucchia ogni momento della vita, diventa interessante anche per gli studenti muovere dalla biografia dello scrittore, a patto però di vedere Manzoni come uomo e non come la figura ingessata che (anche) la scuola ha costruito. 

«Io ti ho a scrivere cose sì strane che non so con che parole farlo, e così lontane da ogni tua presunzione ch'io dubito che tu sia per darmi credenza» scrive Alessandro Manzoni all'amico Giovan Battista Pagani all'inizio dell'Ottocento e leggendo questa lettera anche il lettore del lombardo farà fatica a dare “credenza” alle sue parole.

Con un fare che ricorda il Settecento più galante (e licenzioso), Manzoni infatti scrive all'amico di un triangolo amoroso che si svolge nella sua casa: questa lettera (raccolta da L'Orma Editore, con la cura di Alessandro Zaccuri, in Io ti ho a scrivere cose sì strane) è un ottimo viatico per provare a osservare la vita e l'opera di Manzoni da un punto di vista differente, tentando di rimuovere quella patina di retorica che da sempre ne adombra la figura.

Sono molti gli aspetti biografici che contribuiscono a scuotere l'immagine altera e irreprensibile dell'eroe risorgimentale, dall'attenzione quasi maniacale agli aspetti commerciali del romanzo (che danno l'immagine di un Manzoni “agente di sé stesso”) alle discutibili virtù paterne (il “foglio” dei Promessi Sposi che in una lettera diventa il “figlio” per esempio, ma anche la sorte dell'ultima dei nove figli avuti con Enrichetta Blondel, Matilde, il cui Journal è dolorosa testimonianza dell'abbandono e dell'irraggiungibilità del padre).

La magia

Se, come spesso capita, gli studenti hanno già avuto modo di conoscere alle scuole medie inferiori i personaggi principali e alcuni degli snodi narrativi del romanzo, leggere nella quarta superiore di un istituto professionale le pagine dei Promessi sposi prestando attenzione soprattutto alle evoluzioni del romanzo e allo sviluppo dei vari protagonisti, vuol dire ripartire dall'inizio e avere la possibilità di rinfocolare ricordi sbiaditi, plasmare un nuovo immaginario osservando l'abilità di Manzoni nell'offrire nel suo romanzo un campionario straordinario e completo di tipi umani, afferenti a tutti gli strati della società, e osservando la messa in scena dell'imperituro scontro tra deboli e forti (oltre a portare naturalmente ad approfondimenti su questioni relative alla storia del Seicento e a quella dell'Ottocento, ma anche a domande universali sui comportamenti e le inclinazioni umane, sull'origine della sofferenza o sull'esistenza della Provvidenza).

Nella descrizione dei personaggi sta, a detta dell'interesse e del trasporto dei ragazzi, la magia di questo romanzo, capace di mostrare come i buoni non siano poi sempre buoni e come i cattivi, in pochi ma luminosi casi, non siano sempre tali, come il male abbia una parte preponderante nelle vicende umane (nella violenza fisica, ma anche psicologica, come nel caso della monaca di Monza) e come la vendetta, dopo tutta la fatica per raggiungere il momento in cui compierla, possa perdere ogni sua importanza e la vera sfida diventi piuttosto provare a perdonare.

Una storia senza tempo

La capacità di Manzoni nel descrivere le oscillazioni dell'animo porta in maniera naturale ad appassionarsi alle vicende e ai personaggi più sorprendenti del romanzo come per esempio la sorte dell'Innominato (facendo fatica a comprendere il mistero che lo porta da essere un aguzzino a un uomo che dà tutti per gli altri), la scena della peste che prende il corpo di don Rodrigo e non lo abbandona fino all'ultimo (lui, don Giovanni mancato come ha scritto Giovanni Macchia perché desideroso di Lucia ma incapace di sedurla) oppure il valore della notte nel mutare i pensieri e le azioni dei vari personaggi (da Renzo a Lucia, dall'Innominato fino, appunto, a don Rodrigo).

Capitolo a parte merita poi il racconto della peste che rivela come l'inspiegabile non sia mai mezzo neutro di punizione o salvezza (ne rimangono colpiti infatti sia don Rodrigo che fra Cristoforo), come la scienza non possa mai divenire accessoria (don Ferrante crede per esempio agli influssi astrali), come pur dentro l'apocalisse esista ancora uno spazio di civiltà (il vertice di pathos della piccola Cecilia morta di peste con la madre, dove «l’infernale e il fosco si dissolvono in una serenità dolorosa» come ha scritto Attilio Momigliano) e come tutto possa essere piegato all'ingiustizia, soprattutto quando i cittadini, come ha scritto Macchia, diventano «anime morte di cui si può fare quel che si vuole» (le vicende della Colonna infame, appendice colpevolmente espunta dal romanzo, che inserisce i Promessi sposi nel novero della «corrente inquisitoriale del romanzo moderno, da Stendhal a Dostoevskij»).

Nel Fermo e Lucia, matrice originaria dei Promessi sposi, Manzoni scrive che zse le lettere dovessero aver per fine di divertire quella classe di uomini che non fa quasi altro che divertirsi, sarebbero la più frivola, la più servile, l’ultima delle professioni»: i Promessi sposi, assumendo tutti gli oneri della grande letteratura nel provare a rispondere alle interrogazioni senza definitiva risposta che da sempre si cristallizzano nell’animo umano, offrono, all'orecchio di chi per la prima volta ne assapora le parole, la possibilità di riannodare i fili più profondi dell'arte di raccontare e spalancano le porte della curiosità come solo le grandi storie senza tempo sono in grado di fare.

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