In Santa Maria dell’Anima si trovano dépliant informativi anche in lingua olandese. In questa chiesa di Roma dietro piazza Navona giace l’unico papa olandese che la chiesa cattolica abbia mai avuto: Adriano VI, eletto esattamente cinquecento anni fa, il 9 gennaio 1522, e morto il 14 settembre 1523.

La sua tomba, disegnata da Baldassarre Peruzzi, segue i canoni artistici dell’epoca, con un bassorilievo che rappresenta l’entrata gloriosa del papa a Roma, arricchita dal solito panegirico del defunto e delle sue opere.

Il barbaro nordico

In verità, nella Roma rinascimentale il “barbaro” nordico non fu affatto ben accolto, e la sua impresa principale, quella di rispondere alla Riforma protestante con una riforma della chiesa stessa, fallì miseramente.

Il suo breve papato, quindi, è stato spesso considerato un infelice intermezzo tra due grandi papi medicei, Leone X e Clemente VII, e l’esperimento di un papa straniero non si sarebbe più ripetuto fino all’elezione del cardinale polacco Karol Wojtyla nel 1978. In tempi recenti tuttavia, Adriano è stato rivalutato, anche dallo stesso papa Francesco che lo ha collegato a un’idea di chiesa più povera e umile, al punto da aver preso in esame anche l'idea di chiamarsi Adriano VII. 

La scelta del successore di Leone X, morto il 1 dicembre 1521, fu il risultato di un difficile compromesso in un conclave diviso tra cardinali filofrancesi e filoasburgici che alla fine si accordarono sul nome di un outsider assente, il cardinale Adriaan Florisz Boeyens.

Il prelato olandese era pressoché sconosciuto a Roma, tranne che per i suoi studi biblici, e non era coinvolto nei giochi di potere all’interno della curia. In più, aveva già 62 anni ed era di salute cagionevole. Insomma, la figura ideale per un breve papato intermedio.

Il popolo di Roma invece, mal digerì l’arrivo di un papa non italiano e il poeta Pietro Aretino si scagliò contro la «canaglia brutta e ria / ch’ha fatto un papa senza saper come / fiammingo mai non visto e senza nome».

Ma il nuovo papa non era certo l’ultimo arrivato. Nato a Utrecht nel 1459, figlio di un falegname, era stato professore di teologia alla prestigiosa Università di Lovanio, tutore del giovane principe Carlo d’Asburgo, il futuro imperatore Carlo V, e governatore della Spagna, dove la notizia della sua elezione lo raggiunse a fine gennaio 1522.

Prima di poter mettere piede in Italia tuttavia passarono altri cinque mesi e soltanto il 31 agosto Adriano arrivò a San Pietro. Da subito, il nuovo pontefice ruppe radicalmente con le abitudini fastose dei suoi predecessori Borgia e Medici. Rifiutò un’entrata trionfale nella città eterna e nel suo primo decreto papale vietò il porto d’armi in città, emanò misure contro le “oscenità in luogo pubblico” e mandò in esilio i personaggi “dissoluti”. Ordinò ai cardinali di togliersi la barba, ritenuta oggetto di vanità, e rifiutò prebende e favori a questuanti di ogni tipo.

Avendo trovato la casse vaticane vuote, licenziò tutto lo stuolo di artisti, letterati, studiosi, attori, musici, adulatori e cortigiane che avevano popolato i palazzi dei papi rinascimentali. Fermò a metà il costoso progetto delle Stanze di Raffaello in Vaticano, che sarebbe stato poi compiuto (fortunatamente) sotto il suo successore Clemente VII. Infine ridimensionò il suo staff personale, rimpiazzando i cuochi, camerieri, valletti e intrattenitori di Leone X con una sola donna di servizio olandese per lavare i panni e preparargli dei pasti frugali.

Tra impero ottomano e riforma

Senza curarsi delle proteste dei romani, avversi a ogni tipo di frugalità, Adriano si dedicò ai due grandi pericoli che stavano minacciando la chiesa.

Tentò di riunire le corone europee contro il sultano Suleimano il Magnifico, che l’anno precedente aveva conquistato Belgrado e ora stava assediando l’isola di Rodi, l’avamposto dei cavalieri Ospitalieri. Invano però: Francesco I di Francia e Carlo V continuarono a darsi battaglia in Italia, Rodi cadde e l’avanzata turca fu fermata soltanto nel 1529 davanti alle porte di Vienna.

Ancora più grave era la sfida posta dalla Riforma protestante che stava sconvolgendo l’Europa del Nord da quando Martin Lutero nel 1517 aveva pubblicato le sue famose 95 tesi contro il traffico delle indulgenze.

L’indulgenza papale – ottenuta attraverso una penitenza o un riscatto pecuniario – era considerata un mezzo efficace per ridurre il periodo che l’anima di un defunto avrebbe dovuto sostare nel purgatorio (che altro non era che un’invenzione dottrinale tardomedievale poi trasformata in uno strumento per riempire le casse della chiesa).

Nei primi decenni del Cinquecento la pratica era degenerata in una vera e propria compravendita della salvezza delle anime, offerta con tariffe più o meno modiche da predicatori itineranti per conto del papa. Con i proventi si dovevano finanziare crociate e nuove chiese, ovviamente non prima di aver detratto le spese di gestione.

Prima di Lutero si erano già levate voci critiche contro questa forma di finanziamento di una corte papale ben nota per i suoi eccessi di pompa, nepotismo, simonia, concubinato e quant’altro.

Come recita la 86° tesi di Lutero: «Perché il papa, le cui ricchezze oggi sono più opulente di quelle degli opulentissimi ricconi, non costruisce la Basilica di San Pietro con i propri soldi invece che con quelli dei poveri fedeli?».

Lutero aveva dato voce a uno scontento generale ed era diventato in pochi anni l’uomo più famoso della Germania con milioni di seguaci e simpatizzanti. La reazione del Vaticano era stata autoritaria e miope.

Giulio X rifiutò ogni forma di dialogo, esigendo la totale ritrattazione delle tesi “eretiche” di Lutero e infine scomunicandolo, nella vana speranza di fare così i conti con quel «piccolo monaco tedesco». Invece contribuì a rendere i riformatori sempre più antipapisti e più radicali, portandoli a rifiutare tutto ciò che originariamente non era presente nella Bibbia ma che era stato aggiunto successivamente nella tradizione della chiesa romana: Madonna, santi, purgatorio, sacramenti (tranne battesimo e matrimonio), celibato e primato del papa.

Così Adriano al suo arrivo sulla santa sede si ritrovò con uno scisma quasi compiuto. Ma a differenza dei cardinali della curia egli conosceva e capiva i motivi dei riformatori.

L’uomo giusto al momento sbagliato

Il papa olandese era cresciuto nella tradizione della devotio moderna, un movimento religioso nato nel nord dei Paesi Bassi che poneva una forte enfasi sulla religiosità interiore e la necessità di una vita personale umile e semplice. Pur avendo anche lui condannato le tesi di Lutero, condivideva le sue critiche al commercio delle indulgenze e all’ostentata ricchezza del clero.

Fece allora un ultimo tentativo per riportare almeno una parte dei riformati in seno alla chiesa madre. Nell’autunno del 1522 mandò un suo legato alla Dieta tedesca di Norimberga, con un messaggio chiaro, ammettendo che negli anni passati la santa sede era stata fonte di atti spregevoli e abuso di potere spirituale, «una malattia che si era estesa dalla testa in giù», e che aveva fatto della chiesa cattolica la «sposa deformata» di Dio. «Il mondo intero desidera ardentemente una riforma» e io la farò, iniziando dalla curia stessa, promise.

Ma le sue parole caddero nel vuoto. Per i riformati, ormai radicalizzati, erano semplicemente troppo poche e troppo tardi, mentre i prelati cattolici, poco propensi a cambiare il loro stile di vita, le interpretarono come un gesto di debolezza. Quindi non se ne fece niente, anche perché Adriano nei pochi mesi che gli restavano, rimase sempre un estraneo in una Roma che non lo voleva.

Nell’estate del 1523 si ammalò e il 14 settembre morì. Cinquanta giorni dopo il cardinale Giulio de’ Medici fu eletto papa col nome di Clemente VII, con grande gioia dei romani che dalla restaurazione medicea si aspettavano – correttamente – un ritorno alle feste e fasto di una volta.

Nel frattempo la Riforma stava rapidamente guadagnando terreno in gran parte dell’Europa. Soltanto nel 1545, con la convocazione del Concilio di Trento, la chiesa iniziò la controriforma desiderata da Adriano e non prima del 1562 lo stesso Concilio vietò la vendita di indulgenze. Ma ormai la rottura era compiuta.

«Era l’uomo giusto al momento sbagliato: troppo tardi per Lutero, troppo presto per la chiesa», conclude una recente biografia di Adriano. Ma il suo esempio ha fatto scuola, come ha ricordato lo stesso papa Francesco, in un’intervista pubblicata dal quotidiano olandese de Volkskrant appena dopo la sua elezione, il 13 marzo 2013.

Discutendo con alcuni confratelli sul nome da scegliere, uno di loro gli avrebbe suggerito quello di Adriano, «perché Adriano VI era un riformatore e bisogna riformare». Bergoglio ci ha pensato, e il compito non è facile nemmeno oggi.

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