In Antidote il regista James Jones segue tre bersagli umani del regime dello zar: Christo Grozev, uno scienziato russo espatriato e Vladimir Kara-Muza. «Quando mi sono imbattuto in Bellingcat e in Grozev – dice Jones – ho trovato la mia chiave per raccontare il Putin di oggi, che si muove più da boss mafioso che da ex agente Kgb»
Se Navalny, il film-documento di Daniel Roher sull’avvelenamento politico di Aleksei Navalny, ha vinto nel 2023 il suo bravo Oscar politico, c’è un altro documentarista, James Jones, che sta allargando e approfondendo il campo di indagine sulla rete degli “eliminatori” putiniani all’estero.
Il Novichok, il micidiale agente nervino di sintesi che ha ucciso Navalny, non è la sola risorsa, e Christo Grozev, il giornalista investigativo di Bellingcat che ha denunciato le responsabilità dirette del Cremlino nell’assassinio dell’oppositore, è oggi tra i bersagli più a rischio.
Antidote di James Jones – quarantaduenne londinese titolare di un Emmy e già autore di documentari d’inchiesta su Gaza e su Chernobyl – non è soltanto il più agghiacciante fiore all’occhiello del Noir in Festival che si è appena chiuso a Milano, è cinematografia a cavallo tra presente e futuro, un work in progress che attende solo le nuove rivelazioni di un processo in corso a Londra per essere riaperto e rimontato.
Gli esiti del processo sono attesi per gennaio. Imputati sono sei cittadini di origine bulgara (all’inizio erano tre), insospettabili impiegati pubblici muniti di documenti di identità falsi di varie bandiere. Sarebbero stati il nucleo di “sorveglianza” su vari obiettivi politici tra Inghilterra, Germania e Montenegro per conto dei servizi di intelligence della Federazione russa, Fsb, Svr e Gru.
Come una spy story
Ma questo scenario, con le dinamiche complottiste che sta accertando, appartiene al futuro prossimo. La materia presente del film è già lancinante, perché tallona – letteralmente e in parallelo – tre bersagli umani del regime di Putin: oltre al wanted Grozev, la rockstar ufficiale del giornalismo investigativo, diffidato dai servizi segreti dal rientrare a Vienna dove è rimasta la sua famiglia, uno scienziato russo espatriato clandestinamente (anonimo per ragioni di sicurezza) che aveva collaborato alla sintesi del Novichok, e Vladimir Kara-Muza, il dissidente russo sopravvissuto a ben due tentativi di avvelenamento, incarcerato e processato per alto tradimento.
Le famiglie dividono i rischi dei loro congiunti, e il padre di Christo Grozev si è spento di colpo per cause ignote: non è stato mai redatto un referto tossicologico. Il processo di Londra, con i filmati di sorveglianza agli atti, promette indizi anche su questi risvolti.
Per i molti di noi che intercettano solo coriandoli della ramificata macchina di morte e hackeraggio legata al Cremlino – quando finiscono in prima pagina – Antidote è un thriller da pugno allo stomaco. Ma questa è una delle materie specifiche all’attenzione di Bellingcat, la formazione di giornalismo investigativo specializzata in open-source intelligence in cui milita Grozev.
James Jones ti costringe a entrare nelle esistenze di chi è finito nelle liste nere, delle vittime di fatwa politica, e a misurare il costo umano e i rischi di questa condizione. Ma ti immerge anche in una trama giallo-nera degna di John Le Carré. Sembra romanzesco il burattinaio al soldo di Mosca di nome Jan Marsalek, bancarottiere da miliardi scomparso dai radar che risulta oggi il referente degli 007 di Londra. Aveva inventato, tra l’altro, un videogame a pagamento per assistere in diretta alle esecuzioni mirate di killer muniti di bodycam. Ma fa capolino anche il buon vecchio West, col suo sistema di taglie e di bounty killer: non puoi mai sapere in quanti ti danno la caccia.
Filmare i bersagli umani
Parlare con James Jones non è come parlare con un filmaker qualsiasi. Conosce benissimo il russo, tra l’altro, e i destini del paese gli stanno particolarmente a cuore da buoni vent’anni. «Quando mi sono imbattuto in Bellingcat e in Grozev – dice – ho trovato la mia chiave per raccontare il Putin di oggi, che si muove più da boss mafioso che da ex agente Kgb. Occuparmi dei casi passati era meno stimolante che occuparmi attivamente del presente, mettendo a fuoco non solo il programma di avvelenamenti del Cremlino e i suoi strumenti ma anche in prezzi immensi che paga chi si oppone al regime o prova a far luce sui suoi crimini».
Quando ha incontrato per la prima volta Christo Grozev? «L’ho conosciuto quando non era ancora nell’elenco ufficiale dei ricercati. In Austria aveva saputo che una spia russa aveva comunicato il suo indirizzo di casa ma il rischio non gli sembrava così alto. Solo in seguito ha scoperto di essere accusato di crimini non meglio identificati. Eravamo insieme a una cerimonia di premiazione a New York quando ha ricevuto una chiamata dell’Fbi che gli chiedeva di restare negli Usa: in Austria era un uomo morto. Se sei testimone diretto di queste vicende, e di come radicalizzano la vita delle persone, ti sembrano storie fuori dalla realtà».
Il lavoro di Bellingcat, sostiene il regista, è una materia affascinante per un documentarista. «Grazie a loro sono molti gli agenti russi sotto copertura che sono stati “bruciati”, e anche per questo Mosca ha cambiato modus operandi. Bellingcat ha individuato tra l’altro la centrale operativa dei documenti falsi e ha permesso di risalire ai loro utilizzatori. Oggi la manovalanza di Mosca all’estero è solo in minima parte composta da professionisti. E il pericolo è ancora più grave, perché si reclutano a pagamento civili disponibili a bruciare, rapire, ammazzare a bastonate. È materialmente impossibile identificarli e quantificarli, allo stato attuale: chiunque può essere ingaggiato, in qualsiasi territorio».
Bellingcat non è il Times
I metodi di indagine di Bellingcat però sono oggetto di controversia, lo ricorda anche il film. «La disinformazione manipolata da Mosca pesa parecchio, e sulla rete ha mano libera per bollarli come spie al soldo della Cia. I loro non sono certo i metodi usuali dei giornalisti della Bbc o del Times. Utilizzano ampiamente dati rubati o recuperati sul dark web, ma in Russia la corruzione è così endemica che tutto è in vendita, dai tabulati telefonici ai dati su visti e viaggi. C’è perfino una app che ti permette di sapere in quanti e quali telefoni un certo numero è memorizzato. Ma ogni obiezione che si può muovere all’operato di Bellingcat cade di fronte ai crimini gravissimi di cui parliamo. E conta soprattutto il cervello di chi ragiona sui dati e li collega tra loro: Christo è un po’ Sherlock Holmes, e si è guadagnato una credibilità assoluta».
Si può credere, guardando il film, che alcune scene siano ricostruite, docufiction in pratica, come l’espatrio clandestino dello scienziato in maglietta e zaino filmato in diretta. Ma non è suspense fittizia: è tutto vero. Il regista era a bordo dell’auto in attesa in un punto concordato. «È stata un’attesa da incubo. Doveva arrivare da una radura appena al di qua della frontiera, e poteva non farcela. Vederlo arrivare correndo vestito di verde, come per mimetizzarsi, è stato così liberatorio che siamo scoppiati a ridere!» In Antidote il biologo è un protagonista che ha un volto ma non un nome. È la gola profonda che ha rivelato al mondo, da membro pentito del team che lo aveva creato, i segreti del Novichek.
Il seguito della storia è tutto da scrivere. E da girare. Sapendo che è solo una tessera di un minaccioso mosaico fuori portata.
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