"L’Italia, e Roma in particolare, è una scuola di umiltà per ogni artista". Questa frase, tratta dal Viaggio in Italia di Goethe, riflette l’impatto profondo che il nostro paese ebbe sull’artista-scienziato tedesco e su molti altri intellettuali che intrapresero il Grand Tour. L’impareggiabile patrimonio artistico e culturale italiano rappresentava un’inesauribile fonte d’ispirazione ma al contempo costituiva un’eredità intimidatoria con cui doversi confrontare.

È estremamente complesso quantificare in modo preciso e onnicomprensivo l’influenza che l’Italia ha esercitato sulle varie arti nel corso dei secoli. È difficile persino circoscrivendo alla sola letteratura. Basta pensare a Shakespeare e a Ernest Hemingway passando per Thomas Mann, Stendhal, Sàndor Màrai, o i più recenti Dan Brown, Elizabeth Von Arnim e André Aciman, per rendersi conto di come, in modo differente ma persistente, il legame con l’Italia abbia rappresentato per questi autori un fil rouge capace di attraversare epoche e stili.

L’Italia come crocevia imprescindibile

L’ascendente dell’Italia sui pittori è stato sempre potente e duraturo. Dalle pennellate cariche di luce dei vedutisti settecenteschi alle sperimentazioni audaci delle avanguardie novecentesche, il nostro paese ha rappresentato una tappa obbligata e una fonte inesauribile di ispirazione per artisti di ogni latitudine. Il maestro norvegese dell’angoscia esistenziale Edvard Munch, non è generalmente associato all’Italia nella mente del grande pubblico. Eppure, il suo legame con il nostro paese è più profondo di quanto si possa immaginare. Dopo quattro decenni di assenza, le sue opere sono tornate a Palazzo Reale di Milano (fino al 26 gennaio) e poi a Roma a Palazzo Bonaparte (fino al 2 giugno) e offrono l’opportunità di esplorare questa connessione spesso trascurata.

Munch visitò l’Italia in diverse occasioni, trovando ispirazione nella luce e nei paesaggi mediterranei. Il suo primo viaggio significativo avvenne nel 1899, quando soggiornò a Firenze e Roma. Qui, l’artista rimase colpito dall’arte rinascimentale, in particolare dalle opere di Michelangelo e Raffaello. Una testimonianza tangibile di questa fascinazione è visibile in mostra: tra le pagine del suo diario, esposto al pubblico, si può ammirare un raffinato schizzo di Raffaello. Un’altra opera che testimonia l’influenza italiana è Autoritratto all’Inferno, dove Munch si rappresenta circondato da fiamme, in un chiaro riferimento all’Inferno dantesco.

Anche la mostra veneziana di Roberto Matta, a Ca’ Pesaro fino al 23 marzo, sottolinea il ruolo dell’Italia come fonte d’ispirazione per artisti internazionali. Matta, che trascorse gli ultimi anni della sua vita in Italia, trovò nel paese un terreno fertile per la sua creatività poliedrica, dal Ritiro della Bandita di Tarquinia al suo legame storico con Venezia.

L’artista non solo aveva assorbito e reinterpretato l’eredità artistica italiana ma anche il suo panorama culturale e sociale, come dimostra il suo progetto di casa su palafitte realizzata con scocche di Fiat 500, simbolo dell’ingegno italiano rivisitato attraverso la sua visione surrealista e architettonica.

Ammirazioni

Ad Arzignano, in provincia di Vicenza, l’ex tipografia Atipografia ospita, fino alla fine del mese, la prima personale in Europa del pittore brasiliano Tarcisio Veloso. La mostra presenta una selezione di dieci dipinti realizzati appositamente per l’occasione.

Il titolo "_Olhares_" (sguardi in brasiliano) rimanda al legame che si instaura tra i soggetti rappresentati e l’osservatore. La ricerca artistica di Veloso affonda le radici nella rappresentazione pittorica classica, in particolare nella storia del ritratto e nelle sue evoluzioni nel tempo. I protagonisti delle sue composizioni, ritratti in pose che scrutano il visitatore oltre la tela, sono immersi in atmosfere senza tempo e misteriose, arricchite da un costante accostamento tra dettagli rinascimentali, come gli abiti, ed elementi contemporanei.

Se c’è un’artista che ha legato il suo destino all’Italia è sicuramente Niki de Saint Phalle a cui è dedicata una retrospettiva al MUDEC di Milano. Fino al 16 febbraio questa mostra non solo celebra la carriera poliedrica dell’artista franco-americana, ma getta anche luce sul suo profondo legame con l’Italia, una relazione che ha trovato la sua massima espressione nel celebre Giardino dei Tarocchi, a Capalbio in Toscana.

Quest’opera monumentale, frutto della collaborazione con il marito Jean Tinguely, incarna perfettamente la fusione tra la sua visione artistica e il paesaggio culturale italiano. Questa prepotente influenza, che affonda le radici nell’ammirazione della ventenne Saint Phalle per la pittura del Trecento senese, ha accompagnato l’artista lungo tutta la sua carriera, durante la quale ha tratto ispirazione dalle città storiche italiane, lasciandosi nutrire e plasmare dalla loro inesauribile ricchezza creativa.

Il fascino

Vilhelm Hammershøi, il grande pittore danese, ebbe un rapporto speciale con l’Italia, meta frequente dei suoi viaggi e fonte di ispirazione per la sua poetica del silenzio e della solitudine. Durante i suoi soggiorni nel Belpaese, Hammershøi rimase affascinato dalle architetture rinascimentali, dai cortili nascosti e dalle atmosfere sospese di città come Venezia e Firenze. Questi elementi influenzarono profondamente il suo stile, caratterizzato da ambienti domestici apparentemente ordinati ma carichi di un’inquietudine sottile, quasi metafisica.

La mostra Hammershøi e i pittori del silenzio, a Palazzo Roverella di Rovigo dal 21 febbraio fino al 29 giugno, è la prima retrospettiva italiana dedicata all’artista e un’occasione unica per scoprire il suo legame con il nostro Paese. Attraverso un confronto con opere di artisti contemporanei, l’esposizione esplora come il tema del silenzio e della solitudine abbia unito Hammershøi ai maestri italiani e nordici, offrendo una visione inedita del suo genio artistico e del dialogo tra culture diverse.

Vilhelm Hammershøi, Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma, 1902, Odense, Kunstmuseum Brandts © Kunstmuseum Brandts

Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato che accoglie da sempre artisti stranieri ospita, fino al 2 febbraio, Louis Fratino. Satura, dell’artista statunitense acclamato dalla critica nell’ambito della Biennale Arte 2024.

L’arte di Louis Fratino rivela subito la sua connessione con l’Italia. La sua permanenza in Toscana si riflette nelle opere View of Monte Cristo e si allarga alla Liguria con The beach at Noli. Con Nudo seduto omaggia invece Marino Marini ma osservando le altre opere è chiaro come attinga anche da Penna, Cavalli, Mieli, Pasolini che vanno a rincarare gli aspetti più intimi nell’affettività esplicita e nella devozione alla bellezza e alla voluttà.

Come spiega lui stesso, non immaginava neppure quanta Italia si fosse sedimentata nella sua produzione, soprattutto nella serie di Satura che si rifà, a partire dal nome, alla tradizione latina. Il corpus è in effetti abbondante e variegato, e implica una stratificazione di riferimenti culturali che confluiscono in diverse correnti: dalle tradizioni pittoriche italiane alle esperienze personali dell’artista, dalla cultura pop contemporanea ai temi classici dell’arte. Fratino rielabora questi elementi in un linguaggio visivo unico, creando opere che, pur essendo profondamente americane nel loro approccio, rivelano un substrato di italianità inaspettato e profondo.

Questo intreccio di influenze si manifesta non solo nei soggetti scelti, ma anche nelle tecniche utilizzate e nell’atmosfera generale delle sue opere, offrendo uno sguardo nuovo e personale sul dialogo tra cultura americana e italiana nell’arte contemporanea.

Le origini italiane, i viaggi in Italia, la scoperta del modernismo, fino ad arrivare a capire perché proprio l’Italia è per lui una musa ispiratrice: «Non come un posto intrappolato nella storia quanto un posto che ha sensibilità specifiche, e soprattutto con un rispetto specifico per l’arte visiva».

Che l’Italia continui ad esercitare un fascino irresistibile è innegabile. «Gli artisti stranieri – continua – sono sempre stati profondamente attratti dall’Italia, e io sono solo uno dei tanti che ha rapidamente compreso quanto questo Paese abbia da offrire in termini di artigianato: dalla ceramica, con cui ho realizzato le sculture attualmente in mostra, ai tessuti e al vetro».

Il “soft power” culturale

Il grande e piccolo schermo non sono da meno. Jay Kelly, il nuovo film di Noah Baumbach, è stato girato in parte in Italia, mentre in Megalopolis, l’ultimo di Francis Ford Coppola, l’antica Roma rivive in una New York post-apocalittica.

La quarta stagione di Emily in Paris, uno dei prodotti più visti su Netflix, è stata girata anche in Italia e nella prossima stagione la protagonista si trasferisce a Roma per gestire la sede italiana dell’agenzia francese.

Questa scelta narrativa segue il solco tracciato da altre produzioni di successo come The White Lotus, che ha dedicato un’intera stagione alla Sicilia, o Hotel Portofino, ambientata nella riviera ligure degli anni Venti, dove l’Italia non è solo uno sfondo pittoresco, ma diventa un personaggio a sé stante.

Una tendenza che riflette anche una strategia di produzione che sfrutta la ricchezza culturale e paesaggistica. Secondo i dati che Italy for Movies, il portale nazionale delle location cinematografiche, ha presentato all’81ma Mostra del Cinema di Venezia, nel 2023 le produzioni internazionali in Italia sono aumentate del 30 per cento rispetto all’anno precedente.

Questo straordinario potere di suggestione esercitato dall’Italia sulle arti si traduce in un formidabile “soft power culturale”, capace di rafforzare l’immagine del BelPaese come fucina inesauribile di creatività e culla di uno stile di vita inimitabile. Le opere ispirate all’Italia, infatti, non si limitano a promuovere il turismo verso la penisola, ma plasmano in profondità la percezione globale della nazione, consolidandone il ruolo di capitale culturale mondiale.

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