Per i consumatori il no/lo rappresenta una nuova libertà: poter scegliere ogni giorno cosa mettere nel bicchiere, senza dover rinunciare al gusto o alla socialità. Per i brand emergenti è un’opportunità straordinaria per riscrivere le regole del bere e proporre alternative che parlino davvero il linguaggio del presente
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
Il movimento no/lo – no alcol, low alcol – non è una moda passeggera, ma l’espressione di un cambiamento culturale profondo.
Piacere e benessere
È la risposta di una generazione alla necessità di conciliare piacere, identità e benessere. Per i consumatori rappresenta una nuova libertà: poter scegliere ogni giorno cosa mettere nel bicchiere, senza dover rinunciare al gusto o alla socialità. Per i brand emergenti è un’opportunità straordinaria per riscrivere le regole del bere e proporre alternative che parlino davvero il linguaggio del presente.
Tuttavia, l’industria tradizionale sembra aver colto solo in parte la portata di questa trasformazione.
In molti casi, si è limitata a eliminare l’alcol da un prodotto già esistente, senza ripensarne l’identità complessiva. Il risultato? Bevande che occupano una casella a catalogo ma che non generano alcuna emozione. Anche il classico “gingerino” è tecnicamente no/lo, ma non rappresenta certo la risposta evolutiva che il mercato cerca.
Togliere l’alcol non basta. Restano zuccheri, coloranti, ingredienti ultraprocessati: elementi che entrano in conflitto con il desiderio crescente di benessere e naturalità. È qui che nasce il nostro impegno.
I benefici del fermentato
Siamo partiti dalla kombucha, bevanda fermentata che unisce complessità aromatica e benefici funzionali, ma oggi il nostro sguardo è rivolto a una gamma sempre più ampia di “good-for-you beverages”.
Pensiamo al kefir d’acqua, alle bevande postbiotiche e funzionali: prodotti pensati per farci stare bene, ogni giorno.
Da sempre attenti al mondo scientifico legato alla fermentazione, negli ultimi mesi abbiamo strutturato un team interno con nutrizionisti e biologi per affrontare in modo ancora più profondo il tema centrale dei prossimi anni: il microbiota intestinale.
Nuovo paradigma
Non si tratta solo di benessere individuale, ma di un nuovo paradigma di consumo in cui ciò che beviamo contribuisce concretamente alla nostra salute a lungo termine.
La tendenza no/lo, in questo senso, è solo la punta dell’iceberg. Rappresenta la parte visibile di un movimento molto più ampio, legato al concetto di longevity: un approccio integrato alla salute, dove anche il beverage gioca un ruolo fondamentale.
Scenari italiani
In paesi come l’Italia, dove il consumo quotidiano si concentra sull’acqua e il vino, questa attenzione è ancora marginale rispetto a mercati come quello americano, dove bibite zuccherate e super-size dominano da anni, e dove la reazione salutista è stata, forse per questo, più radicale.
Non sono solo i produttori di vino, birra o spirits a dover osservare questo fenomeno. È l’intera filiera agroalimentare che deve interrogarsi sul futuro del beverage come parte integrante del sistema food.
Bere è un atto quotidiano e culturale. Trasformarlo in qualcosa di sano, piacevole e consapevole è la vera sfida – e la grande opportunità – dei prossimi anni.
© Riproduzione riservata