Storia brevissima di un rimpianto. La mia famiglia, per parte di madre, ha smesso di produrre Lambrusco di Sorbara quando sembrava chiaro che tutto quello su cui tre generazioni si erano affaticate sarebbe finito in lattina e somministrato direttamente nell’esofago tramite imbuto e annesso tubo di plastica nei peggiori party universitari del Midwest. 

Era difficile immaginare Silvio Berlusconi che omaggia l’amico Vladimir Putin con bottiglie di Lambrusco. Al netto del significato politico del dono e dei comprensibili auguri che gli vada di traverso, non posso negare l’emozione per il superamento in un’unica, imprevedibile mossa, di decenni, anzi secoli di complessi di superiorità toscano-piemontesi in fatto di presentabilità vinicola internazionale. Sempre ammesso che la scelta dell’ex cavaliere certifichi qualcosa in questo senso. 

Ma in ogni caso la verità impopolare va detta: aveva ragione lui. Il Sorbara, con la sua meravigliosa acidità, è per l’abbinamento con il caviale l’unica alternativa ragionevole all’onnipresente bollicina che per il noto collegamento zarista è diventato il Cristal, un secolo prima che diventasse roba da arricchiti nella commedia all’italiana, da rapper, da regalo di Natale.

Non avevamo previsto questi sviluppi e abbiamo ceduto. Il marchese è sceso dal castello con la sua Ferrari, si è ripreso il terreno che aveva dato in usufrutto alla mia famiglia e lo ha dato a qualcun altro, per farne qualcos’altro. Non Lambrusco.

Altri, più lungimiranti o più fortunati (o entrambe le cose), avevano capito e hanno insistito. Sono stati premiati con l’invasione totale, perfino eccessiva, delle bollicine, e hanno lanciato il Lambrusco su quel carro, infighettendosi un po’ con le capsule dorate e i caratteri calligrafici per adeguarsi al canone estetico, ma l’operazione ha funzionato.

Adesso per bere Lambrusco serve un dottorato, ma non credo che mio nonno abbia bevuto lambruschi buoni come quelli che si bevono oggi, anche se dal rubino tradizionale della fermentazione in bottiglia si è passati a una paletta di rosa su cui potremmo discutere per anni. 

Il genio di Christian Bellei, della Cantina della Volta, ci ha dato il Lambrusco spumantizzato con il metodo classico: il “36” è già da tempo un pilastro del lambruschismo di nuova generazione, e “La prima volta” è una specie di inno di lode, anzi un laudario intero, del Sorbara in purezza. 

Il mio amico Alberto Paltrinieri esplora con successo (e qualche comprensibile temerarietà) su tutte le varianti e tutti i metodi che l’uvaggio offre, e diversi come hanno eroicamente contribuito all’emancipazione del Lambrusco dallo status di vino-barzelletta.

Non si può non citare infine la Vecchia Modena, che è per ottime ragioni l’etichetta più diffusa e conosciuta del genere. Una certezza incrollabile, purché sia bevuta a breve distanza dall’imbottigliamento: il metodo Martinotti fa cose meravigliose e meravigliosamente instabili, non bisogna aspettare.

Questo per limitarsi al Sorbara. Degli altri lambruschi non so e non voglio sapere niente.

© Riproduzione riservata