Un’opera nata da un cenno letto in una cronaca: dice meglio di un saggio come funziona l’immaginazione letteraria. Così creò una figura totale, più decisa del Conte di Montecristo, più conturbante di Esmeralda, più abile di Ulisse
«V’arricordo che aviti fatto atto di bidienza». «E che ci trase? La bidienza è ’na cosa, aviri pariri diverso è ’n’autra».
La rivoluzione della luna, romanzo scritto da Andrea Camilleri nel 2013, racconta la storia di una donna bellissima che si trova ad avere in mano un enorme potere e, nonostante sia avversata da uomini che si sentono scalzati sia dalla sua bellezza che dalle sue capacità, riesce a portare a termine la sua missione, a compiere la sua vendetta e a non sacrificare alcun innocente.
Siamo nel mese di settembre del 1677, a Palermo ci sono disordini, manca il cibo e il lavoro, la corruzione dilaga e il Sant’Uffizio è triste perché non si riesce più a bruciare nessuno in pubblica piazza. «Ed erano ancora tutte prisenti, e forsi aumentate, ’ste conseguenzie, al momento della morti di don Angel. E quindi, se non era stato capace d’arrisolvirle un omo, di certo non ’nni sarebbi stata capaci ’na fìmmina. La quali, è cosa cognita, vali meno assà di un omo. E certe vote, meno ancora d’una bona vestia».
Il romanzo è straordinario per almeno tre motivi. Il primo è, appunto, la sua protagonista, Eleonora di Mora, marchesa di Castel de Roderigo e moglie di don Angel de Guzmán, viceré di Spagna in Sicilia che muore improvvisamente. A lui succede il cardinale Luis Fernando de Portocarrero, ma non subito. Prima, per ventisette giorni, Eleonora di Mora, per volontà del marito, assume la carica di viceré e governa la Sicilia, prima e unica donna in tutta la lunga travagliata, appassionante e spesso rissosa storia dei viceré. Donna Eleonora è più decisa del Conte di Montecristo, più comprensiva di Fra’ Cristoforo, più conturbante di Esmeralda, più abile di Ulisse e, soprattutto, parla ancora meno del Conte Mosca.
Il secondo motivo è il romanzo in sé, che dice, meglio di qualsiasi saggio di critica letteraria, come funziona l’immaginazione romanzesca. Andrea Camilleri sta leggendo una cronologia e una storia dei viceré di Spagna in Sicilia e incontra il nome di donna Eleonora, ne rimane affascinato e, nonostante le poche e sparute notizie, decide di scrivere un romanzo. Solo una riga e niente altro. D’altronde, esiste strumento più efficace del romanzo per indagare l’animo umano, e la storia degli uomini? No. Per questo, categorie merceologiche a parte, i romanzi sono tutti gialli (non tutti i gialli sono romanzi, va detto), solo che certe volte non ci sono colpevoli (solo la vita).
Leggendo La rivoluzione della luna, ci si convince immediatamente, appena don Angel muore sul trono durante una seduta del Regio Consiglio, che le cose siano andate esattamente così, l’avventura di donna Eleonora, nonostante gli storici non siano arrivati a scriverla, è andata come Camilleri l’ha immaginata. Il tempo, si sa, romanzifica – inventiamo un verbo – e dunque, a distanza di quasi quattrocento anni dalla reggenza di donna Eleonora, l’invenzione di Camilleri è storia. La riga col nome di donna Eleonora nella cronologia dei viceré che sboccia in romanzo è un grande classico degli scrittori che sono grandi lettori e la cui opera narrativa è comparabile con l’opera critica – espressa attraverso diversi media, anche a cena con amici.
Succede a Virginia Woolf nel 1931 mentre legge il carteggio tra Elizabeth Barrett e Robert Browning e si diverte con Flush, il cocker spaniel della poetessa. Woolf si sta divertendo ma è anche impegnata a sedurre, come può – tutti facciamo come possiamo, grandi scrittori e no –, Vita Sackville-West, e a distrarsi da un romanzo sul quale lavora, Le onde. Il 16 settembre del 1931, Woolf scrive a VSW di mandarle una foto di Henry, il cocker spaniel di Harold Nicolson, il marito: «hai una fotografia di Henry?
Lo chiedo per una ragione speciale, connessa a una scappatella tramite la quale spero di arginare la rovina che subiremo col fallimento de Le onde». Nel 1933, Flush è stato pubblicato e ha avuto un enorme successo, Woolf scrive a Lady Ottoline Morrell: «La figura del loro cane mi ha fatto ridere tanto che non ho potuto resistere a fargli una vita». La figura di Eleonora di Mora deve aver impressionato tanto Andrea Camilleri che ha deciso di farle una vita.
Il terzo motivo è che La rivoluzione della luna sintetizza tutta la letteratura di Camilleri – non ho letto tutto, solo la maggior parte, questo romanzo, per esempio, non lo avevo letto – e dunque tutta la letteratura. A un certo punto, donna Eleonora parla con don Serafino, il protomedico, suo unico amico, come tutti innamorato di lei, attonito e percosso di fronte alla bellezza della marchesa viceré, e sta per confessarle che è innamorato, innamorato pazzo, forse potrebbe dirle che da quando l’ha incontrata, anche se a bassa voce, canta tornando a casa, ma donna Eleonora gli fa segno di no, di non dire niente. Non commetta l’errore di parlare, dice donna Eleonora guardandolo con occhi neri come fiamme scure – se esistessero. Donna Eleonora incarna la letteratura che non commette mai l’errore di parlare, infatti non dichiara né amore né niente, ma racconta, sta, sente gli odori, sputa, respira, ripete le frasi, allunga le mani, bacia, fa l’amore, sistema le sedie, misura metri di stoffa. Donna Eleonora è irresistibile per tutti coloro che la vedono, dal vescovo Turro Mendoza che vuole farla fuori, alle vergini pericolanti, alle Maddalene pentite, alle maestranze, agli inquisitori, ai siciliani.
Ed è irresistibile per chi legge perché donna Eleonora incarna la differenza tra il potere che serve solo se stesso e il potere a servizio di una comunità. Donna Eleonora abbassa il prezzo del pane, istituisce la figura del magistrato del commercio affinché riunisca le maestranze palermitane, ripristina il Conservatorio per le vergini pericolanti e quello per le prostitute che non possono più esercitare per sopraggiunti limiti di età, riduce il numero dei figli per ottenere i benefici concessi ai padri onusti (famiglie numerose), opera per debellare la corruzione, stabilisce la Dote Regia, fonda il Conservatorio delle Maddalene pentite. Donna Eleonora fa la rivoluzione in un solo ciclo lunare. «Il silenzio fu tali che si sintì persino ’na musca che volava vicino alla testa del protonotaro. “Minchia!” fu la prima parola che lo ruppi. Era stato il viscovo a dirla».
Il romanzo, per struttura, ammicca ai feuilleton, ai romanzi storici, i capitoli sono numerati e ciascun titolo di capitolo riassume o chiosa ciò che contiene. Ammicca perché invece il romanzo è veloce come un apologo. Ammicca perché l’intenzione è picaresca. «La filama era che la malatia aviva fatto ’ngrassari ’n modo lifantiaco tutte le parti del corpo di don Angel meno una, propio quella che addistinguì l’omo dalla fìmmina e che era addivintata, date le nove proporzioni del resto, squasi ’ntrovabili, ’na spingula in un pagliaro».
In occasione dell’uscita del romanzo, Andrea Camilleri rilascia un’intervista video al Corriere della Sera nella quale racconta ciò che si può leggere anche nella nota, e cioè l’incontro con Eleonora di Mora, e suggerisce che il romanzo fornisca una risposta a tutti coloro che criticano il modo in cui mette in scena i personaggi femminili, pieni di debolezze e difetti. Stessa eccezione che, nel necrologio sul New York Times, è stata posta a Kundera. Certo, le donne di Kundera e le donne di Camilleri non sono eccezionali – tranne donna Eleonora – ma non lo sono manco gli uomini, e questo perché sono romanzieri, grandi romanzieri, e dunque si occupano della vita che sta loro intorno senza giudicarla, senza sollevarla, senza annichilirla, la osservano con acume, leggerezza e attenzione, e con acume, leggerezza e attenzione la lasciano sulla pagina, la vita che sta intorno a loro è la vita che sta intorno a noi e, grazie al cielo, così possiamo godercela, cioè dimenticarcela, di eccezionale ha poco. Godiamoci il ridicolo, la mancanza di coraggio, l’essere qualsiasi, la coscienza di tutto questo e la meraviglia che, nonostante questo, le vite, pure le nostre, meritano un racconto. Non c’è bisogno che dica che Camilleri è uno dei più grandi scrittori che il Novecento abbia visto, lo sapeva da solo, non doveva dirlo, e non doveva dirselo, era così e basta, spavaldo e tenero col suo dialetto sonoro che oltre al senso porta il sentimento, e oltre al suono porta l’odore, e oltre al ritmo porta l’assenza. L’assenza della giustizia nella vita di tutti che talvolta, per un caso, un inciampo, per una donna che diventa viceré di Sicilia, si fa invece presenza e di questa presenza – perché così è nelle cose umane, in quel gigantesco sud malversato che sono le cose umane – non rimane che una riga. Però quella riga c’è e scrivere, se serve a qualcosa, serve a colmare la memoria, a produrla quando non c’è materiale con cui colmarla e dopo averlo fatto dire a tutti andate, la strada è di nuovo percorribile, la buca è coperta. A questo serve scrivere, se serve.
«V’arricordo che aviti fatto atto di bidienza». «E che ci trase? La bidienza è ’na cosa, aviri pariri diverso è ’n’autra». Ubbidire e essere d’accordo non sono sinonimi. Tuttavia, donna Eleonora più decisa del Conte di Montecristo, più comprensiva di Fra’ Cristoforo, più conturbante di Esmeralda, più abile di Ulisse e, soprattutto, più silenziosa del Conte Mosca, perché tutto si compia come immagina e come vuole, ha bisogno di un amico. Don Serafino. Forse un bell’uomo, di certo gentile, capace nella vita professionale (è il protomedico del palazzo del Viceré), meno dal punto di vista sentimentale (vive con la madre e la sorella.
O forse, come mi risponde il mio amico Stefano Pisani, ex matematico e co-fondatore di «Lercio»: «Attenzione, è mia madre che vive con me»). Fatto sta che, quando don Angel muore, donna Eleonora manda a chiamare don Serafino, non si fida di ciò che le hanno detto sulla morte del marito. Come tutti a Palermo, don Serafino non ha mai visto donna Eleonora e, come tutti, appena la vede, rimane senza fiato. Rimane senza fiato e si innamora. Donna Eleonora sa di avere a disposizione tutta la vita per l’amore – forse l’ha già avuta a disposizione, quella di don Angel – ma un’ora sola per il coraggio. Le forze che si addensano intorno alla sua reggenza sono oscure e corrotte ma benedette e protette da Santa Madre Chiesa e, talvolta, dalla sua Inquisizione. Donna Eleonora si accorge di aver bisogno di don Serafino, ma sa che non può corrispondergli, lui d’altronde vuole esserle amico ma spera pure di diventare altro, così i due, consci dei sentimenti e delle aspettative dell’altro, cenano spesso insieme, si confidano, si guardano, operano perché donna Eleonora abbia ciò che vuole, e con lei i palermitani.
C’è sempre una certa malinconia nelle persone che pur avendo a disposizione il corpo, lo trattengono. Donna Eleonora e don Serafino hanno a disposizione i loro corpi ma intuiscono di essere capitati da due parti diverse della Storia ed è più facile fare la rivoluzione a Palermo che condividere un letto. Certe volte capita così. E accettare l’esistente è ciò che consente di vivere l’avventura. Non ho capito se donna Eleonora è innamorata di don Serafino e non posso capirlo fino in fondo perché non so cosa desiderare per loro, oltre il romanzo di Camilleri. Riusciranno ad avere una vita sessuale, altrove e senza la carica di viceré, come Elisabetta I e Leicester, al secolo, Sir Robert Dudley? Il resto ce l’hanno, sono complici, possono stare da soli senza che nessuno li guardi, parlare o tacere insieme senza imbarazzo, ridono, si capiscono, si fidano. Elisabetta I e Leicester, da un certo punto in poi, non più. Quindi, chi lo sa cosa è meglio.
(C) Chiara Valerio, 2025 - Sellerio editore, 2025. Tutti i diritti riservati.
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