Carissima Hong Kong

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è come si salvano i ristoranti. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Maestra diaspora: l’immigrazione a Honk Kong Mangiare fuori a Hong Kong significa avere accesso a una lista quasi infinita di tipologie di ristoranti: ci sono quelli economicissimi, come i dai pai dong, dal nome curioso: «Bancarelle con il certificato grosso», piccoli ristoranti all’aperto con sedie e tavoli pieghevoli da condividere, coperti da tendoni per la stagione delle piogge, dove il cuoco maneggia un grosso wok sopra una fiamma vigorosa. Un paio di gradini più su ci sono le cha chaan teng, il cui nome significa “ristorante del tè” ma non immaginatevi raffinate sale di degustazione: sono i primi ristoranti con tavoli individuali che la classe lavoratrice riusciva a permettersi dove si potevano bere bibite fresche, cibi locali e quella cucina soy sauce Western (“salsa di soia all’occidentale”) che traduce in sapori “hongkonghesizzati” alcuni piatti standard della cucina europea. Ma per chi volesse farsi una cultura gastronomica di grande livello Hong Kong offre il più alto numero di ristoranti stellati Michelin in Asia dopo il Giappone, nonché ogni varietà regionale delle varie cucine cinesi, asiatiche, ed internazionali. E, per quanto molte mode fossero di breve durata, con un grosso ricambio di locali che, se non avevano successo, duravano pochi mesi (gli affitti di Hong Kong sono proibitivi, e chi non ce la fa, affonda) da più di cinque anni il settore è decisamente in crisi, e ancora si stenta a trovare una soluzione. Hong Kong ha fame di cultura, ma Pechino la tiene al guinzaglio Le radici della crisi Le difficoltà cominciarono a emergere nel 2019, quando Hong Kong era percorsa dalle più grosse proteste politiche della sua storia, con scontri fra polizia e manifestanti, e lancio massiccio di lacrimogeni, ogni singola sera per quasi un anno intero, togliendo a chiunque la voglia di andare a cena fuori. Le proteste furono interrotte solo dal Covid – di nuovo, un disastro per la ristorazione. Il concatenarsi di eventi sfavorevoli non si ferma a questo: nel 2020, il governo centrale a Pechino, decise di imporre a Hong Kong la Legge sulla sicurezza nazionale, allo scopo di impedire il ripetersi di manifestazioni di massa come quelle che si erano viste l’anno precedente. Si tratta di un testo di legge che impone restrizioni molto significative alle libertà a cui Hong Kong era abituata, e, malgrado le difficoltà legate al viaggiare in tempi di Covid, circa trecentomila persone hanno lasciato la città. Oltre a persone che avevano avuto un ruolo prominente nel corso delle proteste, il gruppo demografico che ha maggiormente lasciato la città sono le coppie con figli in età scolare, o quelle che hanno in programma di diventare genitori: uno dei gruppi che, fino al 2019, andava più frequentemente al ristorante. La storia coloniale dei diner di Hong Kong Per cercare di tamponare l’impatto della fuga dei cervelli (prima ancora di quella dei commensali) sull’economia locale, il governo di Hong Kong ha puntato sul turismo, dando prova di scarsa inventiva, e su un programma di visti di residenza per “talenti” che ha portato a un numero significativo di cinesi continentali a fare domanda. Il problema però non è stato risolto così facilmente: i turisti non sono i più adatti ad aiutare il fatturato dei ristoranti, dato che si sfamano in particolar modo ai fast food, ai dai pai dong che servono noodles alle paninerie e ai loro equivalenti locali, e sono, per la maggior parte, poco interessati all’espandersi del loro vocabolario gastronomico se questo pesa sul portafoglio. Molti dei “talenti”, poi, vedono il permesso di residenza a Hong Kong come una garanzia, ma nel frattempo continuano ad abitare in Cina – dove tutto costa decisamente meno che non qui. Lo dimostra Shenzhen, la città cinese che confina con Hong Kong e che è divenuta un’inaspettata meta del fine settimana degli hongkonghesi. Un numero sempre maggiore di loro, infatti, fra salari che non aumentano e affitti folli, se decide di banchettare con la famiglia estesa ora lo fa a Shenzhen. Dopo la stretta Usa sull’export in Cina, Shenzhen investe sui chip Chi resiste I ristoranti che continuano a fare soldi, localmente, sono ristoranti che, fino a poco tempo fa, erano favoriti dagli studenti, i ristoranti chiamati “quello-quello e riso” (ligo-ligo faan), tavole calde con i piatti già pronti e messi in vetrina, a prezzo fisso, dove si possono scegliere due tipi di pietanze (che si indicano col dito, per cui, quello e quello) che vengono serviti su una base di riso. Quindi, un valore sicuro, diciamo, saziante e a buon mercato, con variazioni sul tema comuni anche a Singapore e a Taiwan. Il rallentamento economico fa sì che tutti cerchino di inventarsi qualcosa di nuovo che possa avere successo, prima di tutto sui social. La tirannia di Instagram (e quella del Piccolo Libretto Rosso, o Xiao Hong Shu, il principale social cinese) fa sì che lo chef molecolare Alvin Leung, famoso per il suo due stelle Michelin chiamato Bo, abbia deciso di aprire un caffè a Tsim Sha Tsui, un quartiere popolare, che ha chiamato Bau, dove serve piatti simili ma con ingredienti più economici e piatti comuni, a prezzi normali, in un ambiente che ricorda da vicino Bo, e che consente dunque di fare post sui social per la vanità degli utenti e il rendiconto del ristoratore. Nel vuoto di manifestazioni vive la protesta di Hong Kong Lo hanno seguito anche alcuni altri ristoratori, che hanno aperto nelle food court, dove l’affitto è basso, e possono essere serviti piatti un po’ più cari se sono firmati da chef noti. Di nuovo pensando all’effetto social, ci sono ristoranti che scelgono di appoggiarsi pesantemente ad un tema, che spaziano da Hello Kitty, per i nostalgici, a Chiikawa, un pupazzetto emerso dai manga giapponesi che sta spopolando. Ci sono quelli che servono solo anatra, in mille modi diversi, solo dessert, o solo funghi. Lo stesso, i clienti sono diminuiti, e sono più economi, e i quartieri che fino a ieri avevano solo ristoranti mostrano oggi tante saracinesche chiuse. [Missing Caption][Missing Credit]