Seduttore o puro marketing? Il modernissimo Casanova che confonde ancora

Il vaporetto numero 2 non c’entra. Quando rimetto piede sul sagrato in vera pietra dell’autentica basilica di San Giorgio Maggiore, lo spaesamento che avverto è l’effetto, non collaterale, della mostra che ho appena visto, Casanova e l’Europa. Opera in più atti (fino al 2 marzo 2026), allestita sull’isola veneziana dalla Fondazione Cini per celebrare i trecento anni dalla nascita di uno degli italiani più famosi al mondo. Giacomo Casanova, diventato un sostantivo, seduttore per antonomasia, e invece… D’altra parte, in esergo al catalogo, la frase tratta dalle sue memorie, Histoire de ma vie, mette in guardia il visitatore su quello a cui va incontro se prova a star dietro alla vita di uno così: «Non avendo mai avuto una meta fissa, il solo sistema al quale io potei ricorrere, se sistema è, fu di lasciarmi andare dove mi spingeva il vento». Il meteo, nel suo caso: uragano. Casanova e la disputa sul pensiero delle donne: colpo di scena, era un femminista Confusione in testa Invece che a un farmacista, per farmi passare la cinetosi post-mostra chiedo aiuto a uno storico, tra i massimi conoscitori del suo irrequietissimo concittadino, al quale ha dedicato una biografia: «Ma insomma, chi era ‘sto Casanova?! Sono confuso», e lui, Alessandro Marzo Magno, se la ride: «Ottimo. Vuol dire che la mostra rende bene il personaggio». “Personaggio” di sicuro. “Mostra”, si fa per dire, certo non la classica: all’ingresso si riceve una lanterna con cui farsi luce nel labirinto di calli, buie com’erano erano nella Venezia settecentesca di Casanova, riprodotte nei minimi dettagli dalle maestranze della Fenice. L’occhio dice “vero”, la mano dice “falso”, l’orecchio conferma: toc-toc, cartongesso?, c’è persino un finto canale con vera acqua. E più ci si addentra tra le quinte di questa dichiarata finzione scenica, più si capisce qual è la parte, il gioco a cui la mostra ci chiede di giocare, verbo che in inglese vuol dire anche “recitare”, come Casanova sul palcoscenico della società veneziana ed europea del suo tempo. E quindi stiamo al gioco teatrale di questo allestimento, che gioca a carte scoperte mettendoci davanti al vero e al falso, all’inganno, all’illusione. Gioco di prestigio in cui trucco e inganno ci sono eccome, e ben visibili, come le “allucinazioni” dell’Ia, non censurate, che rendono ancora più affascinante il video in cui la vita di Casanova è raccontata dalla sua voce e da tableaux vivants che fanno molto sigla di White Lotus: brancolando tra le calli si finisce anche sui tetti di Palazzo Ducale da cui si ammira una piazza San Marco digitalizzata, e poi di nuovo giù, un passaggio segreto, un gabinetto delle curiosità, alcune false altre vere (come gli spartiti originali delle musiche di Nino Rota per il Casanova di Fellini), e poi una stanza con tavolo verde del Casanova baro, e tarocchi del Casanova esoterico che, grazie a certe sue arti occulte e formule segrete, riuscì, così diceva lui, a evadere rocambolescamente dalle prigioni dei Piombi, dove il Casanova debitore insolvente (fu arrestato cinque volte per questo motivo) passò dallo status di Casanova carcerato a quello di Casanova evaso. E ancora: Casanova letterato, Casanova impresario teatrale, Casanova spia, diplomatico, attore, traduttore, inventore, ciarlatano, massone, soldato, musicista, mago… Alla fine mi gira la testa: «E il bello è che è stato davvero tutte queste cose», conferma Marzo Magno. «Chi era? Glielo avessero chiesto, probabilmente si sarebbe definito un letterato, un filosofo. In vita scrisse oltre 40 opere e si rovinò per pubblicare quella che, secondo lui, gli avrebbe dato gloria imperitura: un romanzo di fantascienza, Icosameron, che invece fu un flop clamoroso. Eppure non è stato una figura secondaria: c’è chi ha definito le sue memorie il primo grande romanzo autobiografico della letteratura moderna». Cent’anni di disincanto, un divo chiamato Marcello Mastroianni Seduttore o marketing? Paradossalmente, ciò che non è stato è proprio lo sciupafemmine che tutto il mondo conosce: «Il Casanova seduttore è il prodotto di un’operazione di marketing dell’Ottocento. Come Jessica Rabbit, “lo hanno disegnato così” per vendere meglio le sue memorie, pubblicate postume, usando il sesso per titillare gli istinti più pruriginosi dei lettori, trasformandolo in un pornografo». Certo, nel libro il sesso c’è «ma Casanova non è mai volgare: nelle oltre 5000 pagine dell’Histoire de ma vie si conta una sola parolaccia». E c’è l’amore giocoso del Settecento, non ancora appesantito dal bacchettonismo romantico ottocentesco, e quindi ci sono il gioco della seduzione e, ovviamente, le donne, però, insomma, a far due conti… «Piero Chiara, casanovista, fece il calcolo: nel libro sono citate 116 donne che, divise nei 42 anni di “attività” (tolti dai suoi 73 anni i primi 18 e gli ultimi 13), fa 2,7 donne all’anno: bene ma non benissimo, come si dice. Probabilmente ci sono bagnini di Rimini molto più accattivanti di Casanova…» Ricapitolando: letterato così così, playboy discreto, qual era quindi il suo talento? «Era un seduttore in senso lato: non solo con le donne ma con tutti. Ha anche avuto rapporti omosessuali ma non amava parlarne». Quindi un manipolatore? «È anacronistico riferire quella parola al Settecento. A quei tempi esisteva la categoria degli avventurieri: personaggi che vivevano così, viaggiavano, andavano nelle corti, raccontavano storie, cercavano di vendere progetti strampalati. All’epoca i nobili si annoiavano a morte, avevano bisogno di qualcuno che li intrattenesse». Quell’amore burrascoso tra Deneuve e Mastroianni Testimone e avventuriero Era, insomma, uno che viveva di espedienti ma, concentrandosi sul suo viaggiare, la mostra, come da titolo, vuol far emergere il suo cosmopolitismo e il suo rapporto con un’Europa che, in quel periodo, stava andando incontro a enormi cambiamenti, e nella quale Casanova si spostava da una città all’altra con una frenesia che sembra sconfinare nel patologico: «Era un dromomane, incapace di stare fermo. Una caratteristica di tutti gli avventurieri, oltre che una necessità, visto che spesso dovevano fuggire per non essere arrestati per debiti». Resterà, comunque, sempre legatissimo a Venezia, e con Venezia morirà: nel 1798 lui, un anno prima lei, come due vecchi amanti accomunati dall’incapacità di comprendere la portata di un evento epocale, la Rivoluzione Francese, che finirà per spazzarli via insieme al loro “mondo di ieri”. La mostra insinua il dubbio che, forse, quella di Casanova è la stessa condizione in cui ci troviamo noi oggi, testimoni di una rivoluzione in corso a cui siamo ancora troppo vicini per riuscire a coglierne contorni e rilevanza: «Era un uomo di un’altra epoca, certo, ma era curioso, non aveva paura del “nuovo”: a terrorizzarlo non furono tanto gli ideali della Rivoluzione Francese (anzi, si era anche avvicinato all’Illuminismo). A terrorizzarlo fu il sangue: i fiumi di sangue, le teste mozzate dei nobili». Quindi dov’è la sua attualità? «Fu modernissimo nell’uso della lingua: conia il termine “secreto agente”, e in un libro, scritto per confutare la teoria secondo cui il cervello delle donne era collegato all’utero, usa l’espressione “educazione e condizione femminile”, la stessa usata dal movimento femminista nel Novecento: questo signore, che per noi è la quintessenza del machismo e del maschilismo, nel 1772 parlava di “condizione della donna”». Molto attuale, mi pare, anche l’ossessione di diventare famoso. «È vero, aveva quel cruccio: soffriva, perché Cagliostro era più famoso di lui, o quando gli chiedevano se era “il fratello di Francesco Casanova”, pittore di battaglie, all’epoca molto noto. In effetti, in questo desiderio di fama si potrebbe paragonarlo a un odierno influencer». Con la differenza, non da poco, che al contrario dell’odierno influencer, spesso privo di qualsiasi talento, famoso in quanto famoso, lui, per lo meno, di cose ne ha fatte per riuscire nel suo intento. Purtroppo, senza successo: «È morto in Boemia, dimenticato da tutti». La fama, immensa, è arrivata solo dopo ma, se esiste un paradiso degli avventurieri, Casanova lo voglio immaginare lassù, che ci guarda, felice finalmente ma anche un po’ crucciato nel pensare “L’avessi avuto io, uno di quei telefonini che fanno le foto”.