L’altra sera – ero all’Anteo di Milano a presentare Paola Cortellesi e il suo film – scene da rockstar, altro che nuovo singolo dei Beatles. «Riesci a salutare quelle persone? Si sono fermate ad aspettarti»: più di un’ora, per essere precisi, tra la conversazione post-proiezione del pomeriggio e il saluto pre-proiezione della sera. Prima e dopo, altre persone, a decine, a chiedere autografi, selfie ma – ed era la più parte – anche solo a ringraziare, commosse, per il film C’è ancora domani, opera prima dell’attrice/autrice che sta tirando giù sale, botteghini, tutto.

7 milioni di euro in dieci giorni, cifre poco italiane, quantomeno di questi tempi, e per un film che non è la commedia tout court, da Checco Zalone in giù (ma, a parte il genio from Capurso, ormai chi c’è rimasto?).

Cifre di fronte alle quali gli esercenti, giustamente, gongolano. Le sale sono piene, anzi strapiene, si racconta di applausi a scena aperta e sui titoli di coda, risate e commozione, e la voglia di proseguire oltre, di dibattere, di far vivere il film oltre la visione – altra cosa pressoché impensabile, per un film italiano recente.

Il valore aggiunto

Se lo merita, questo successo, Paola Cortellesi. E se lo merita il film, che ha il pregio di portare, davvero, una visione nuova. Prima di vederlo, qualcuno – anch’io, lo confesso – era scettico davanti a certe scelte. Il bianco e nero su tutte.

E invece Cortellesi ha il merito di aver confezionato un prodotto (oggi si dice così, scusate) che non assomiglia a niente pur rimandando, con intelligente filologia, al cinema del nostro glorioso passato (è ambientato nella Roma appena liberata del 1946, e lì pesca l’ispirazione anche visiva dell’autrice). Un film che vive per sé stesso, e che la gente tratta, comprensibilmente, come fosse un oggetto prezioso, da vedere per l’appunto dentro una sala, con tante altre persone attorno.

Anche quello fa la differenza: le sale piene aiutano ad andare al cinema, negli ultimi anni – spesso, ripeto, quando si trattava di titoli italiani – diventata un’esperienza un po’ triste, squallidina.

Con C’è ancora domani – e l’ho sperimentato anch’io, nel corso di quella serata di presentazioni milanesi – senti il vicino che ride, si commuove, si sorprende: e non dovrebbe essere sempre così, la fantomatica “esperienza della sala” di cui pure su queste pagine ho, abbiamo scritto tanto? Così uscire di casa ha un valore aggiunto, che discorsi, il pubblico mica è scemo, l’ha capito.

Senza spoiler

ANSA

L’altro merito di Paola Cortellesi e del suo film – presentato come titolo d’apertura all’ultima Festa del cinema di Roma, dove ha vinto il premio del pubblico, quello della giuria e una menzione speciale come opera prima – è la natura politica ma non ideologica.

C’è ancora domani è un film femminile, anzi femminista, con un messaggio (si può ancora dire o è diventata una brutta parola?) veicolato attraverso una sceneggiatura (dell’attrice/regista insieme ai fedeli Giulia Calenda e Furio Andreotti) intelligente, e che tratta lo spettatore allo stesso modo.

Non svelerò qui il finale, anche se ormai l’avrete visto un po’ tutti, perché è una sorpresa e, soprattutto, uno dei motivi per cui il pubblico esce dalla visione colpito, emozionato, desideroso di parlare e condividere con gli altri ciò che ha appena visto.

Il comandante

Paola Cortellesi è la più amata dal pubblico italiano e, di conseguenza, la più potente: lo sarà ancora di più dopo il risultato di questo film. Sia usato, l’aggettivo, solo con la connotazione positiva che porta con sé. Al vertice di un sistema, quello dell’industria cinematografica nostrana, ancora fortemente maschile c’è una donna, e questo resta un fatto importante e incontrovertibile.

Come resterà incontrovertibile il fatto che il film italiano più visto dell’annata sarà (è già) una storia diretta da una donna, che parla del ruolo delle donne nella società di ieri come di oggi, delle lotte fatte e di quelle che si debbono fare ancora, con quel finale simbolico (ma, ripeto, non lo svelo qui) che ha un peso e un valore determinato dalla risposta anche emotiva del pubblico.

Qualche giorno dopo l’uscita al cinema di C’è ancora domani è arrivato Comandante, il bel film di Edoardo De Angelis che aveva aperto Venezia 80. De Angelis è uno dei registi più bravi che abbiamo in questo paese, ingiustamente ancora un po’ poco considerato anche dall’industria stessa.

Comandante è un film solido, “di maschi”, ma ugualmente teso a raccontare le scelte dell’umanità di ieri per parlare dell’oggi: il comandante del titolo, Salvatore Todaro (bravissimo, al solito, Pierfrancesco Favino), sceglie, nelle troubled waters sempre del 1940, in piena Seconda guerra mondiale, di compiere un gesto follemente etico.

La storia

Non è spoiler, perché è storia, e forse la sapete già: il sommergibile che guida colpisce un mercantile belga, quelli rispondono per poi ritrovarsi naufraghi. Todaro dovrebbe lasciarli lì e invece decide di seguire la legge del mare, perché così fa un uomo (un italiano, specifica il copione – ispirato ad accadimenti rigorosamente reali – di De Angelis e Sandro Veronesi).

Ogni riferimento a fatti reali (attuali) non è puramente casuale. Anche qui, fin dalla prima proiezione veneziana, abbiamo un film che innesca l’emozione, il dibattito, il giusto/sbagliato delle scelte, delle posizioni, degli uomini in campo.

E anche qui, c’è oggi una buona risposta del pubblico: in meno di una settimana quasi 2 milioni di euro e platee colpite e spesso affondate (sono stato testimone di altre presentazioni sempre a Milano, col suo pubblico tutt’altro che freddo).

Il patto di fiducia

«Il pubblico più giovane non va a vedere i film italiani, c’è un pregiudizio duro a morire», si discuteva di recente con una coppia di nostri registi. E però i dati – soprattutto quelli del film di Cortellesi, che ha l’intenzione, nella finzione come nella realtà, di lanciare un monito alle nuove generazioni – sconfessano in parte questa tesi.

Siamo di fronte a un Barbienheimer de noartri, due film diversi ma in qualche modo legati, quelli di Cortellesi e De Angelis, che non si fanno concorrenza ma, al contrario, operano di concerto per riportare il nostro pubblico a vedere i nostri film (e a prezzo pieno, dopo i supersaldi dell’estate).

Certo, Paola Cortellesi con C’è ancora domani resta il colosso italiano della stagione appena cominciata, e potrebbe generare un nuovo paradigma: il ritorno a quel cinema popolare e al contempo di qualità (perdonate l’altra brutta espressione) che ha innervato per anni la nostra produzione e che sembrava archiviato da tempo. E però pensato, realizzato, condotto da una visione femminile: in tempi recenti, da noi, si era mai visto un successo simile per un film scritto, diretto e interpretato da una donna?

Non che io ricordi. Ma Cortellesi non è una regista/sceneggiatrice che spunta dal nulla, nel nostro scenario. Negli ultimi dieci anni, ha scritto la maggior parte dei film a cui ha preso parte (cominciando da Scusate se esisto! fino alla serie Petra, con in mezzo grandi successi come Mamma o papà? e i due Come un gatto in tangenziale, più molti altri), ha costruito la sua cifra d’autrice (e il suo ruolo, cosa non meno rilevante, all’interno dell’industria), ha sancito un patto di fiducia con il pubblico, che ora premia la sua opera certamente più importante.

Come i film di un tempo

E insieme premia un’idea di cinema che – altro elemento importante – mette al centro proprio il cinema italiano, la sua storia, la sua tradizione, la sua famigerata artigianalità, insieme però a scelte di evidente contemporaneità (l’uso delle musiche su tutte).

C’è ancora domani è davvero pensato come i film di un tempo, con i volti più noti (Cortellesi ovviamente, e un grandioso Valerio Mastandrea usato in modalità “casting against type”, il sempre notevole Vinicio Marchioni, l’ormai certezza del nostro cinema Emanuela Fanelli in un ruolo splendente che un tempo sarebbe stato delle Franca Valeri e Marisa Merlini) insieme ai nuovi o ai marginali (il grande del teatro, e spesso anche al cinema, Giorgio Colangeli, la formidabile caratterista Paola Tiziana Cruciani, i portentosi giovani Romana Maggiora Vergano e Francesco Centorame, il lunare Lele Vannoli), l’impianto che poggia sulla scrittura, la regia che, pur restando fieramente popolare, cerca una voce d’autore (e la trova).

C’è ancora domani esiste perché c’è stato un tempo – e un cinema – che era quello di ieri, e vale però come messaggio (scusate ancora, per l’ultima volta) per il cinema italiano del futuro, che (se) questo rinnovato rapporto col pubblico lo vuole mantenere. Anche se, nel bene e nel male (per l’industria nostrana), forse di Paola Cortellesi ce n’è una sola.

© Riproduzione riservata