- Oggi si leggono tante parole un po’ ovvie sul buon Bob, che resta unico, nella sua grandezza, che ci ha dato sempre tanto. Perché è stato sempre attento ad additare il male che non poteva essere accettato, l’ingiustizia tiranna, la sopraffazione violenta, l’emarginazione abietta.
- Oggi non c’è più nessuno che canta gli Alan Kurdi e se non fosse per la ong tedesca Sea Eye che ha voluto così battezzare una sua nave (o Ai Weiwei) non lo potremmo ricordare.
- Perché, si dice, «il mondo è cambiato» e «le canzoni non parlano più di queste cose». Come Enzo Jannacci, che dedicò una canzone a Natalia, la bambina cui il primario di un grande ospedale aveva operato la valvola del cuore sbagliata.
Giornali e media hanno ricordato il 24 maggio scorso gli ottanta anni di Bob Dylan celebrandolo in vario modo. Ma se è giusto e doveroso fare gli auguri ad un grande maestro non si può altresì non cantare il lamento di una generazione che ha dissipato i suoi profeti. Non perché quelli non vivano ancora, con le loro parole e la loro musica, nel cuore e nella mente di molti, ma per inveire contro i suoi «maitres-à-penser», gli altri, gli intellettuali e i politici «veri», che si sono invece rivel



