Uno degli omicidi più clamorosi e discussi del Novecento, una Dallas italiana che ha stretto insieme, in un tragico nodo, alta moda e cronaca nera. Nel centro drammaturgico dei fatti, una donna, ieri come oggi: Patrizia Reggiani, Patrizia Gucci, la Gucci. Povera, poi ricca, ricchissima, fino a non tollerare alcuna incrinatura del fulgore sognato, ottenuto.

Presto, forse già alla fine dell’anno, sullo schermo avrà il volto di Lady Gaga nel film diretto da Ridley Scott. Ingenua, feroce, povera pazza la Reggiani, lucidissima, certamente colpevole/vittima di un ricatto? Le opinioni si accostano antitetiche su questa vicenda, oltre e nonostante la verità processuale.

A ogni modo lei, non si può che tornare a lei, piccola, onnipotente ragazza ambiziosa, e un documentario appena uscito lo ribadisce. In attesa della trasposizione cinematografica, da qualche giorno infatti è online su Discovery+ Lady Gucci, un’ora e un quarto di interviste a Patrizia Reggiani e agli altri protagonisti del caso che ha ipnotizzato, indignato, insinuato dubbi e sgomento in più di una generazione.

Lady Gucci

Sin dalle prime immagini la scena è solo sua: tutta in rosa, minuta, la raffinatissima signora sprofondata elegantemente in poltrona è la Gucci, «Io sono la Gucci», questa è in definitiva la storia di un cognome. Desiderato, sfoggiato, difeso. Patrizia Reggiani guarda fisso in camera – guarderà sempre fisso in camera per tutto il tempo.

«Il telegiornale mi annunciava la morte di Maurizio. Non capivo più niente. Avevo perso mio marito, che era la persona che ho amato più di tutti».

Lo ripete: «Il grande amore della mia vita», mentre scorrono le foto del matrimonio, foto in cui sempre la piccola Patrizia cerca con lo sguardo le macchine fotografiche. Immortaliamo le gioie, i matrimoni fortunati.

Lo spettatore si trova a pendere dalle sue labbra, dalle sue frasi icastiche che sembrano scritte, cesellate in anticipo da questa pizia glam. «Io sono cresciuta nel bello»: è tutto vero quello che dice, è tutto falso. Desiderio, verità: cos’è vero e cosa falso?

Classe 1948, Patrizia cresce nella periferia più povera di Milano. La madre Silvana fa la lavapiatti in un bar di via Padova, il padre è ignoto, o fuggitivo. I padri in questa storia non contano molto. La sua vita e quella della madre cambiano radicalmente dopo l’incontro con un ricco imprenditore, Ferdinando Reggiani, che sposa Silvana e adotta Patrizia, la quale assumerà così anche il cognome dell’uomo. Qualcuno poi dirà: è arrivata a fare quello che ha fatto proprio per il terrore di tornare povera.

«Mio padre era molto carino nei miei riguardi, mi dava sempre ragione. Mi ha dato i soldi per comprare la mia prima casa. E questa è una cosa che mi è rimasta in mente».

Invece il rapporto con la madre risente di una somiglianza precisa: «Non potevamo stare nella stessa stanza. Perché io sono anche un po’ pazza e lei è un po’ pazza anche lei, quindi due pazze insieme non potevano stare».

Patrizia è ragazza nella Milano degli anni Sessanta, durante il boom economico, e dei primi prodigi della moda di massa. I giovani della buona borghesia milanese si ritrovano sotto la galleria di San Babila, dove Patrizia non manca mai.

Occhi stupendi, blu, anzi viola, ma è bassa, come altre ragazze, solo che lei non lo sopporta. E allora: capelli cotonatissimi, più capelli che faccia. Rifiuto del limite, nessun limite sia davvero tale.

Ha i soldi, Patrizia, ma le manca lo status della ricchezza di nascita. Continuamente dimostrare, essere all’altezza. Allontanare da sé il sospetto di essere un’arricchita, un bluff. Le amiche dell’epoca raccontano: «Noi cercavamo due cuori e una capanna, lei il nome importante e il portafogli pieno».

L’incontro

Una sera a una festa incontra per caso Maurizio Gucci, rampollo di terza generazione della famiglia dell’alta moda.

Patrizia vestita di rosso, rosso dell’abito, viola degli occhi, non sa chi sia (sincerità, un cuore puro). Neanche Maurizio lo sa, e chiede agli amici: «Chi è quella bella ragazza che somiglia a Liz Taylor?».

Patrizia oggi commenta: «Avevo già capito che lui mirava a me. Quella sera, al night, Maurizio è arrivato con una macchinina da niente. Io già lì lo inquadro: questo qui è uno sfigato».

Sfigato, debole, l’ha scelto apposta? «Maurizio era un uomo fragile, aveva bisogno di qualcuno che si frapponesse tra lui e la realtà». E ancora: «Un uomo unico, straordinario, ma purtroppo mio marito era come un cuscino: portava l’impronta dell’ultimo che ci si sedeva sopra».

Il cuscino-Maurizio qualche giorno dopo la chiama: «Senti, visto che ho scoperto un ristorante molto carino, cosa ne dici di venire domani sera?», e la sera stessa: «Senti, ma cosa ne diresti tu di chiamarti Patrizia Gucci?».

Il sogno senza troppi sforzi è realtà.

Unico amore

Questa è anche una storia di corpi alterati, mutanti, torri di capelli, occhi viola, denti da risanare. Quando iniziano a uscire Maurizio ha un incisivo scheggiato e Patrizia racconta: «Quando l’ho avuto in mano io la prima cosa che gli ho fatto fare è stata rimettere a posto il dente». Cura, manipolazione, commisuriamo la persona al sogno. Uomo, marito, fantoccio.

«Senti ma non è il caso che cambi macchina?», lei dice a lui. «Abbiamo messo insieme, più lui di me, un gruzzoletto. Ci siamo comprati una bellissima macchina. Un Ferrari».

Ancora oggi: voce arrestata, gli occhi che brillano. «Ho avuto altre storie, però come Maurizio mai. È stato il mio unico vero amore», segue un sorriso dolcissimo.

Il 28 ottobre 1972 si celebra il matrimonio: cinquecento invitati, ci sono tutti tranne il capo della dinastia, Rodolfo, padre di Maurizio, fermamente contrario all’unione. Per lui Patrizia è una scaltra arrivista, un’arrampicatrice sociale. È lo zio Aldo Gucci che aiuta gli sposi a metter su famiglia. Sono gli anni Settanta e il marchio è in straordinaria espansione. Il Made in Italy si afferma grazie al prêt-à-porter, alla democratizzazione della moda, che si affianca all’haute couture. Brilla la Gucci, inizia sul serio a brillare anche Patrizia. Nel 1977 nasce Alessandra e poco dopo Allegra, diventa mamma, mamma Patrizia, papà Maurizio.

Nonno Rodolfo a questo punto si arrende, accetta la nuora: in segno di riconciliazione regala alla coppia un super loft di 880 mq a New York, sulla Fifth avenue. «Facevo una vita incredibile, al mattino Jim, l’autista, mi aspettava di sotto con la mia Bentley».

Due amiche

Case a Milano, New York, Acapulco, le tante ville a St. Moritz, e feste, amicizie importanti, eccola Patrizia Reggiani, da figlia illegittima a principessa, imperatrice di una stagione meravigliosa, italiana, americana. Patrizia ha tutto, forse le manca giusto un’amica. Una vera amica.

La trova nel 1976, a Ischia, dove è andata per un soggiorno termale. Pina Auriemma, la maga. E anche qui: maga davvero, per diceria, pettegolezzo? «Non so fare né le carte né ci credo», ha puntualizzato negli anni l’altra donna importante di questa storia. «La leggenda arriva forse dal fatto che accompagnavo la Reggiani dalle cartomanti, le frequentava di continuo».

Asimmetrie, una storia piena di asimmetrie: quando le domandano com’era Pina Auriemma, Patrizia Reggiani risponde: «Mi faceva ridere. Amava molto intrufolarsi, sapere la rava e la fava. Quando io e Maurizio eravamo seccati per qualche motivo lei con la sua sceneggiata napoletana ci aiutava a sdrammatizzare. A Milano noi signore dell’alta società avevamo l’abitudine di andare a colazione tutte insieme, ma a me non andava di andare a dire le mie cose a tutte quelle galline. Preferivo prendere il telefono e parlare con Pina a Napoli».

Ogni corte, re/regina, ha le sue dame, e Pina è una dama piuttosto misteriosa. Di buona famiglia, ma giocatrice accanita, si dice abbia sperperato fortune. Diventa la confidente personale della signora Gucci: «Eravamo due sorelle», ma Patrizia Reggiani rimanda tutto alla mittente: «Né stima né affetto. La cercavo per il desiderio di confessarmi, confessare le mie amarezze». Patrizia trova in Pina qualcuno che finalmente le riconosce la sua posizione, Pina riceve regali, piccoli assegni: «Mi portava in viaggio, è vero, ma perché aveva bisogno di sfogarsi. Patrizia aveva una grande sofferenza dal passato. Sua madre era un’egoista. Che madre è una madre che chiama sempre la figlia “bastarda”?». Quando Pina Auriemma verrà arrestata dirà: «La signora Gucci ha comprato la mia miseria».

Oggetti

Maurizio la amava tanto. «La amava più lui», dicono i conoscenti della coppia. «Non tornava mai casa a mani vuote». È una colpa amare più gli oggetti che le persone? Tra gli oggetti amati: le barche, una barca nello specifico, il Créole, un tre alberi maestoso, sessantacinque metri di lunghezza: «Il più bel ricordo che ho con Maurizio è quando ho visto per la prima volta il Créole».

Sebbene abbia la fama di portare sventura – le due mogli del proprietario precedente, l’armatore greco Niarchos, entrambe morte a bordo – Maurizio regala a Patrizia il Créole. Compra la barca ma da subito, in realtà, sembra più un regalo fatto a sé stesso. Patrizia, messa da parte, inaugura a suo modo la goletta: «Io ti garantisco che questa barca riassumerà la sua nomea di barca maledetta». E oggi, ricorda: «Per lui la barca era più importante delle bambine».

Al culmine dello splendore, inizia a disgregarsi l’armonia familiare e con questa anche quella del marchio Gucci. Sono gli anni Ottanta, la stagione dei grandi stilisti, quando Rodolfo Gucci muore. Nel 1983 le quote passano al figlio Maurizio che, a detta di Patrizia, perde la testa. Si sente libero, indipendente, il ragazzo d’un tempo ora è uomo, come si comporta un uomo? Patrizia non ha grande stima di Maurizio imprenditore, cerca di intervenire, di ottenere un ruolo attivo nella gestione dell’azienda: «Da persona debole quale era, senza il mio pugno di ferro, sarebbe stato un uomo perduto». Quando Maurizio arriva ad avere la maggioranza, sale alla guida dell’azienda: «Da lì è stata la devastazione, perché Maurizio non è stato mai capace di reggerla».

Fine di un matrimonio

Nel 1985 da un giorno all’altro Gucci lascia Patrizia, se ne va di casa e per mesi non dà più sue notizie. A bordo del Créole va a cercare sé stesso (o scappa dai creditori): il pegno d’amore è in realtà lo strumento con cui essere libero. Quando ricompare dice alla moglie che il loro matrimonio è finito.

Finisce un matrimonio e non solo: a causa dei debiti Maurizio Gucci vende le sue azioni agli arabi della Investcorp per 270 miliardi di lire. Gucci passa definitivamente in mani straniere. Per Patrizia è un trauma, un lutto, un crollo nervoso, nonostante con la separazione l’ex marito si impegni a passarle 120 milioni di lire al mese.

Pina Auriemma le sta accanto, vera, sola amica. Ascolta, asciuga le lacrime, comprende le sue ossessioni, la sua sete di vendetta. Patrizia si segna minuziosamente tutto quello che il marito fa e Maurizio, superstizioso, per paura che l’ex moglie, con le sue frequentazioni esoteriche, gli lanci dei malefici, arriva a bonificare l’aura delle case di St. Moritz.

Gucci non chiede all’ex moglie il divorzio, non lo fa fino a quando compare Paola Franchi, vecchia amica di Patrizia e nuovo amore di Maurizio. Quanto dolore per un solo corpo. C’è da meravigliarsi che sia proprio qui che quel corpo inizi a cedere?

È un giorno del 1992 quando Patrizia Reggiani perde i sensi, viene ricoverata: ha un tumore al cervello. Patrizia dice: «Quando sono entrata in sala operatoria nelle migliori delle ipotesi sarei uscita paralizzata, se non morta». Pina Auriemma ribatte: «Ci ha giocato, era solo un tumore benigno». Negli anni la difesa punterà anche su questo: una donna rovinata, incapace di intendere e volere. Pina Auriemma dirà: «Già da prima dell’intervento lei cercava un sicario».

Patrizia la bella è costretta a portare parrucche proprio quando stava cercando di riconquistare il suo uomo. E in ospedale, con lei, solo la madre e le figlie: «Avrei sperato di vedere Maurizio vicino alle mie bambine, pensavo che tutto potesse ricominciare come in una favola. Così non è stato».

Maurizio non va a trovarla e lei gli lascia un messaggio in segreteria: «Voglio dirti che tu sei un mostro e i mostri si sbattono in prima pagina. Alberti ha scritto che la vendetta non è solo dei miserabili, ma anche degli angeli. Dice: vendicati, poiché hai ragione. Sii spietata, perché sei stata offesa. La superiorità non sta nel non vendicarsi, ma nel trovare un modo meraviglioso, arioso, grande, che umili e liberi d’un tratto te. Sei arrivato al limite estremo di farti disprezzare dalle tue stesse figlie, che non vogliono più vederti per dimenticare il trauma. Sei un’escrescenza deforme, sei un’appendice dolorosa, che tutte noi vogliamo dimenticare. Mi hai detto che durante il periodo della falsificazione della firma di tuo padre sei passato dall’inferno: eh no, ti sbagli Maurizio. L’inferno per te deve ancora venire».

La Banda Bassotti

Pina Auriemma, l’amica, la maga, per starle vicino si trasferisce a Milano. In albergo, ovviamente pagato dalla signora Gucci. È in fuga dai debitori, a Napoli trafficava in abiti da sera. Chiede un prestito alla sua amica, 70 milioni, una piccola cifra per una grande signora, eppure Patrizia glielo rifiuta. Però, da amica, le dà un consiglio: «Mi ha proposto di vendere un rene, il mio rene a una sua conoscente che aveva bisogno. Io ero anche propensa, solo che poi la sua amica ha trovato un’altra acquirente».

Patrizia ha altro per la testa: l’odio per l’uomo che l’ha fatta tanto soffrire, e ora una possibile nuova signora Gucci, altri eredi. «Ero certa che metteva da parte le sue figlie per Paola Franchi».

Patrizia lo vuole morto. Desiderio, proponimento, azione. «Andavo in giro a chiedere a cani e porci: c’è qualcuno di voi che ha il coraggio di ammazzare mio marito?». Risolverebbe la cosa da sola ma ha un problema, un difetto: «Non riesco a mirare giusto. Avevo timore che incontrandolo non l’avrei centrato. Quindi non potevo farmelo da sola. Così ho trovato questa banda Bassotti che me l’ha fatto». In realtà travisando le sue parole, dice. Ricattandola. Una mamma sola ricattata da balordi, spacciatori, sicari.

Eppure all’inizio degli anni Novanta, prima della Banda Bassotti messa insieme da Pina Auriemma, effettivamente Patrizia Reggiani chiede aiuto agli amici, al salumiere, alla governante, all’avvocato. Offre soldi, molti soldi, in cambio della testa dell’ex marito. Nessuno la prende sul serio – «L’unica scema», dice oggi Auriemma, «sono stata io» –, qualcuno va persino a raccontarlo al signor Gucci, che prende atto ma non pensa di proteggersi.

Cento passi

È il 27 marzo 1995, un lunedì mattina, quando Maurizio Gucci, dopo i cento passi che separano l’appartamento in corso Venezia dall’ufficio di via Palestro, viene freddato da quattro colpi di pistola. A sparare un uomo a volto scoperto, con berretto da baseball, sceso da una Renault Clio verde.

Patrizia Reggiani dice di averlo scoperto dal telegiornale: «È stato come una mazzata in testa. Pensavo fosse colpa di uno dei loschi affari che faceva Maurizio», ma sull’agenda scrive: Paradeisos, ‘paradiso’ in greco. «È una tecnica pittorica, di trompe-l’oeil, che avevo scoperto», si difende Lady Gucci. «Mi ero detta: la prossima villa la chiamo così». E ancora: «Se la sfiga fosse nebbia io sarei un banco di nebbia». Perché Reggiani sosterrà sempre la sua versione, quella del ricatto da parte di Pina Auriemma. «Hai visto che regalo che ti ho fatto?», le avrebbe detto l’amica napoletana, «Però tu adesso devi pagare. E ne devi tirare fuori un sacco. L’omicidio costa assai. Vogliamo 500 milioni subito, tosti, tosti. Oppure fatto uno, ne facciamo altre due». Ovvero le bambine.

Per due anni le indagini si concentrano sulle questioni finanziarie: mercato delle griffe false, manovre per entrare nei casinò svizzeri, i torbidi legami con la mafia newyorkese. Ma girano a vuoto. Intanto Patrizia e Pina vanno in vacanza insieme: crociere, Natale a St. Moritz. Quando chiedono a Pina Auriemma cosa c’era da festeggiare, pochi mesi dopo il delitto, lei si anima e dice: «Patrizia è molto legata al Natale, lo festeggia sempre. Anche in galera, metteva il boa di struzzo, i brillantini negli occhi e i vestiti scollati».

Gli arresti scattano tutti all’alba del 31 gennaio 1997. La polizia arriva in Corso Venezia, Patrizia Reggiani sente bussare alla porta, esce in sottoveste e mutandine, e dice: «Cos’è un’invasione?», «No signora siamo qui per arrestarla». Le figlie in lacrime: «Mamma ma cos’hai combinato?». Lady Gucci risponde: «Fatti miei».

Indossa la pelliccia di visone e tutti i gioielli ma l’ispettore la ferma: «Signora, guardi che lei sarà arrestata e portata in carcere», riposta: «I miei gioielli e la pelliccia stanno dove sto io». Saluta le figlie: «Ci vediamo più tardi, arrivo tra poco» e viene condotta alla Criminalpol di San Sepolcro, proprio davanti alla chiesa dove lei e Maurizio si sono sposati. Quando esce dalla questura non avrà più la pelliccia: avvolta in un cappotto qualunque, prestato da un agente.

Il processo dura tre anni, dal 1998 al 2001, Patrizia sul banco degli imputati è sprezzante, guarda tutti negli occhi, la madre e le figlie accanto, crederanno sempre alla sua innocenza.

«Guardatela», dicono alle telecamere in aula, «sembra un pulcino». Le condanne sono severe ma neanche troppo: 28 e 26 anni ai due esecutori materiali del delitto, Benedetto Ceraulo e Orazio Cicala, vent’anni a Ivano Savioni, organizzatore con Pina Auriemma, che prende invece 19 anni e mezzo. Ventisei anni per Patrizia Reggiani, ritenuta la mandante dell’omicidio. Ma Lady Gucci si appropria di tutto: dei beni, del cognome, della vita da miliardaria, e ora del carcere.

Dopo la pena diventi una persona nuova, diversa? Patrizia dice: «Il carcere non mi ha cambiato assolutamente, così come sono entrata sono uscita. Victor’s Residence» – così chiama San Vittore – «è il posto in cui ho passato diciotto anni. Diciotto anni di pace, sono volati. Dormivo, mi lavavo e scendevo in giardino con Bambi, il mio furetto, a leggere mentre lui zompettava in giro. Curavo le mie piante, non avevo problemi. Mi sono trovata benissimo, vorrei essere ancora lì». Bambi un giorno si infila di nascosto nel letto di un’altra detenuta: «La proprietaria del letto si è seduta e l’ha schiacciato. È arrivato Bambi 2».

Galera d’oro, trattamenti di favore? Pina Auriemma racconta: «Là dentro valeva il suo cognome. Si faceva venire parrucchiera, chirurgo e dentista da fuori. Era la signora Gucci».

Patrizia Reggiani, quando gliela offrono, rifiuta la semilibertà con la quale sarebbe stata costretta a lavorare: «Io nella vita non ho mai lavorato», dice ai magistrati. E una sua amica che va a trovarla ricorda: «Sono rimasta sconvolta. Patrizia era in shorts, con una maglietta prendisole e un asciugamano sotto il braccio. Stava andando in cortile a prendere il sole con la stessa nonchalance con cui sarebbe salita su un bellissimo yacht».

Oggi, dopo 16 anni di detenzione e tre di servizi sociali alla Caritas («che finalmente sono finiti»), Patrizia Reggiani è una donna libera. La fotografano mentre fa shopping in Monte Napoleone col suo enorme pappagallo Bo appollaiato sulle spalle e, quando le chiedono come vanno le cose, dice: «Mi trovo in un bel guaio: devo occuparmi dell’eredità che mi ha lasciato mia madre. Vedere commercialisti, che mi dicono uno una cosa, l’altro l’opposto, e i miei avvocati. Poi devo occuparmi dei miei appartamenti, che non sono pochi. Adesso tocca tutto a me». E ancora: «Questi alti e bassi mi hanno fortificato all’impossibile. Mi manca solo di risorgere».

E prima che le luci si spengano, un’ultima puntualizzazione in camera: «Con mio marito abbiamo divorziato, è vero, ma a me non interessa: io sono Patrizia Reggiani Gucci».

© Riproduzione riservata