Il processo di trasmissione dei testi classici, dall’antichità ad oggi, non ha seguito un percorso lineare. È la storia, in un certo senso, di un naufragio – quello che abbiamo è una minima parte dei versi, dei racconti e delle idee elaborate dai Greci e dai Romani – e degli sforzi di strappare dal relitto qualche oggetto ancora intatto, prima che il mare lo renda inaccessibile.

Questi tentativi non si sono mai arrestati, con buoni risultati, ma il recupero testuale di cui si sta avendo notizia in questi giorni ha un sapore ancora più dolce perché in larga misura inatteso, e frutto di un’idea di ricerca basata sulla condivisione, al di là di steccati e convenzioni. Luke Farritor, studente di informatica dell’Università del Nebraska, è riuscito ad elaborare una ricostruzione virtuale di un pezzetto dell’interno di un antico rotolo di papiro carbonizzato proveniente da Ercolano, ma ora conservato a Parigi, partendo da scansioni effettuate tramite i raggi X prodotti da un sincrotrone; in questo modo è stato possibile leggere per la prima volta una parola intera: porphyras, in greco (di/della) ‘porpora’ o ‘purpurea’.

La notizia ha subito emozionato gli specialisti, ma in poco tempo ha destato un interesse molto più ampio, anche solo per il contesto da cui è nata: non un normale esperimento, ma una vera e propria gara scientifica, il Vesuvius Challenge, organizzato da Brent Seales, professore di informatica dell’Università del Kentucky e realizzatore delle scansioni dei rotoli, assieme a due magnati della Silicon Valley, Nat Friedman e Daniel Gross, con un cospicuo montepremi (un milione di dollari complessivamente), messo a disposizione da donatori privati, e sotto la guida di un team internazionale, composto da informatici e papirologi (tra cui due italiani, Gianluca Del Mastro e Federica Nicolardi).

Al di là della sua importanza scientifica, la scoperta e il format entro cui è maturata colpiscono perché consentono di capire molto sulla struttura delle prossime rivoluzioni scientifiche. Ma per comprendere questo valore culturale è necessario partire dall’oggetto al quale Seales, Farritor e tutti gli altri hanno dedicato i loro sforzi.

I papiri di Ercolano hanno da sempre rappresentato una sfida intellettuale. Furono trovati nel 1752, durante lo scavo di una villa patrizia sepolta dalla lava durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Sulle prime erano stati scambiati con pezzi di carbone privi di importanza, ma nel giro di poco tempo la loro natura divenne più chiara: si trattava in realtà dei rotoli di papiro – il tipo di libro impiegato per secoli dai Greci e dai Romani – conservati nella biblioteca della casa, che forse era appartenuta a un personaggio un tempo illustre, Lucio Calpurnio Pisone Cesonino (il suocero di Giulio Cesare!). Le temperature elevatissime al momento dell’eruzione avevano innescato un singolare processo che aveva consentito la sopravvivenza di materiali organici normalmente destinati a scomparire. Leggere quei libri si rivelò un’impresa ardua: al di là della difficoltà di distinguere le tracce di inchiostro, aprire i rotoli senza distruggerli è molto difficile, e in alcuni casi impossibile, così che dei quasi 1800 rotoli recuperati solo una piccola parte è stata finora decifrata.

Ma il loro contenuto merita tutta l’attenzione che hanno ricevuto. I rotoli letti contengono per lo più opere filosofiche mai più trascritte nei secoli successivi, come il trattato Sulla natura di Epicuro (341-270 a.C.), in cui veniva sviluppata compiutamente l’idea che la realtà fosse composta di atomi, e opere sui temi più vari, dall’etica alla musica, di altri esponenti della scuola epicurea, tra cui spicca Filodemo di Gadara (ca. 110-35 a.C.). Tra le volute dei rotoli di Ercolano si celano storie e idee intessute per secoli in uno spazio che abbraccia Oriente e Occidente, dal Medio Oriente all’Italia, passando attraverso Atene. Cosa potrebbe esserci nei rotoli non ancora aperti? Le parti mancanti dell’opera di Epicuro? Altra filosofia di scuole diverse? O magari qualche capolavoro letterario perduto?

Per rispondere a queste domande, che hanno scatenato le fantasie più accese di esperti e appassionati, l’unica strada è finire di decifrare i rotoli non ancora aperti. Per farlo, nel corso degli ultimi anni studiosi appartenenti a campi diversi hanno provato a sfruttare una tecnologia del tutto nuova: la luce di sincrotrone, capace di individuare variazioni nella materia minime, come la differenza di consistenza determinata dall’aggiunta di inchiostro su una voluta di papiro.

Ricerche in tal senso sono state già effettuate, tra il 2013 e il 2016, da due gruppi distinti del CNR italiano, utilizzando il sincrotrone di Grenoble, in Francia, ma le tecniche di interpretazione dei dati avevano bisogno di un’ulteriore messa a punto per arrivare a trasformare i ‘tratti’ percepiti in lettere.

Seales comincia i suoi esperimenti poco dopo, nel 2019, in collaborazione con il Diamond Light Source, un sincrotrone del Regno Unito. Per visualizzare le parole lo studioso americano e il suo team hanno perfezionato le tecniche precedenti allestendo una rete neurale, una sofisticata forma di intelligenza artificiale, che però, da sola, non sarebbe bastata: troppe le variabili da valutare, prima che la rete ‘imparasse’ a trovare l’inchiostro. Di qui la scelta di aprire i dati grezzi e condividere il codice, e creare una community (dotata di un suo spazio su discord, come se si trattasse del forum di un videogioco), che in poco tempo ha superato i 1500 membri, tra cui Farritor, lo scopritore della parola nascosta.

È lecito aspettarsi, a questo punto, che nel giro di poco tempo gli algoritmi elaborati consentiranno di migliorare le elaborazioni fino a vedere parti sempre più estese dell’interno del rotolo: «Nel giro di due giorni siamo passati da leggere una parola a leggere molte porzioni di quattro colonne consecutive», scrive Federica Nicolardi, che in questi giorni è proprio in Kentucky con Seales e il resto dell’équipe. «Ogni giorno è possibile realizzare nuove letture in papiri non investigati precedentemente», le fa eco Del Mastro, E le immagini ulteriormente diffuse consentono davvero di condividere il loro entusiasmo.

Siamo alla vigilia di una svolta epocale, nella nostra capacità di recuperare memorie antiche? È possibile. La storia dei progressi scientifici mostra che, una volta superate le difficoltà teoriche, una tecnologia può essere facilmente affinata per raggiungere gli obiettivi indicati, se ci sono i mezzi adeguati e, in ultima analisi, la volontà politica – nel senso più ampio – di perseguirli. Nel giro di qualche anno potremmo avere gli strumenti per decifrare non solo rotoli carbonizzati, ma molti altri reperti antichi, nelle lingue più diverse, al momento illeggibili. Ma la scoperta della ‘porpora’ nel rotolo di Ercolano è emblematica anche per la sua capacità di mostrare concretamente la strada virtuosa da cui possono nascere le rivoluzioni scientifiche del futuro in ogni ambito: la collaborazione di idee e visioni al di là degli steccati disciplinari, la condivisione piena di dati grezzi e strumenti, la capacità di gestire i fondi con efficacia ed elasticità pagando (l’opposto, verrebbe da aggiungere, del modello iper-metricista e tassonomico che tanto piace alla nostra burocrazia ministeriale). E la capacità di mantenere intatto un senso di meraviglia e di piacere di fronte alla prospettiva di scoprire qualcosa di nuovo. Anche solo una piccola parola sottratta all’abisso della memoria.

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