«E poi, gliel’ho sempre detto che lei non è né una ragazza né un ragazzo. Lei è an-ge-li-ca, un vero archetipo! Solo Dalí poteva scoprire la purezza della sua anima. E inoltre non suda mai, prova inoppugnabile del fatto che lei non è viscerale come le altre donne che producono embrioni. A volte dubito addirittura che lei sia un essere reale tanto è eterea». Salvador Dalí nel libro di Amanda Lear: La mia vita con Dalí

La conversazione, quella tra me e Amanda Lear, per presentare a Firenze all’interno del festival letterario Testo, il suo libro: La mia vita con Dalí pubblicato da Il Saggiatore (una edizione ampliata rispetto a quella pubblicata da Costa & Nolan negli anni Novanta) è cominciata così: «Amanda, sai che cosa ho pensato questa mattina mentre mi preparavo per incontrarti? Ho pensato che mi sarebbe piaciuto paragonarti a Orlando il/la protagonista del celebrato libro di Virginia Woolf». 

Pelle emozionale

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Ammetto sinceramente che mi sembrava un modo intelligente per rompere il ghiaccio, per non cedere fin da subito a quell’entusiasmo che prende molti di noi davanti a chi riesce a trasformare, all’apparenza senza nessun sforzo, la sua vita in una sequenza continua di performance memorabili.

Nel risvolto del libro lei, Amanda Lear, viene definita nell’ordine pittrice, cantante, attrice, conduttrice televisiva. In sintesi performer. A matita mentre leggevo avevo aggiunto di seguito doppiatrice pensando a quanto il personaggio di Edna la designer de Gli Incredibili debba la popolarità a quella sua voce, bassa, profonda e potente, impastata dalle tante lingue parlate.

Però poi avevo annotato subito sotto in stampatello: opera d’arte vivente. La definizione che si era data la Marchesa Casati. Non la intendevo però nel senso che quell’espressione aveva per Casati che per tenere fede a quell’etichetta – Gabriele D’annunzio riferendosi a lei aveva detto: «L’unica che mi ha sbalordito» – orchestrava apparizioni spettacolari su fondali fantasmagorici, aveva dissipato patrimoni immensi.

Amanda è un’opera d’arte vivente, in un senso che appartiene al nostro tempo, perché lei è riuscita a trasformare quel suo corpo dall’ambivalente identità, misterioso e ostentato allo stesso tempo, in un simulacro modellabile dall’immaginazione e dai desideri degli altri.  

Non body modification inflitta alla carne, ma sorta di pelle emozionale capace di plasmare la complessità della superficie. «Dalí mi aveva spiegato che il sogno è la confusione dei sessi» ricorda Lear nel libro e questa frase mi aveva fatto pensare a quel lungo dormire di Orlando che poi si risveglia donna.

Ancora viva

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Quel vivere attraversando anni ed epoche diverse, con nel mezzo un sonno ristoratore e preparatorio a una vita completa, a una maturazione intima, a quel mutamento dall’essere uomo a ritrovarsi donna che è soprattutto cambiamento nella consapevolezza di sé. Una storia iniziata in un passato che terminava nel presente della scrittrice il 1928 e dedicata al suo grande amore Vita Sackville-West.  

Anche Amanda ha attraversato il tempo e le mode. Leggendo il resoconto, dettagliato e sfocato insieme, di quella parte dell’esistenza passata come musa accanto a Dalí, viene da pensare che quel periodo lungo 15, quasi 16 anni sia stato come il sonno di Orlando, un periodo di preparazione, di presa di coscienza, di gestazione di quell’esistenza senza limiti, iniziata in quegli anni Sessanta della Swinging London, che poi si sarebbe ritrovata a vivere.

Non era forse lei ad aver detto in una intervista: «Non importa quando sono nata, se nei Cinquanta/Sessanta/Settanta», spostandosi parecchio in avanti rispetto alla presunta data della sua nascita. «L’importante è che sono ancora viva».

Un archetipo

«Penso che lei sia triste per natura. Sarà difficile insegnarle a essere felice, perché le piace essere triste. Lei è come René Crevel. Gli assomiglia anche un po’, sa? È stata Gala a farmelo notare. La stessa fronte ampia, quasi fin troppo pronunciata, lo stesso naso arrotondato e le labbra carnose».

Questo è quello che Dalí aveva osservato e dice ad Amanda, studentessa di belle arti che fa la modella per mantenersi, quando, dopo essersi conosciuti a Parigi, lei arriva, come una predestinata, a Port Ligat. Il regno di uno dei protagonisti del surrealismo, piuttosto contestato dal gruppo, Avida Dollars era il soprannome datogli da André Breton. «Ero davvero così, un’altra volta mi aveva detto che assomigliavo a Mosè per quell’espressione misto di rabbia e tristezza. Poi sono cresciuta, sono cambiata».

«Vorrei tanto che fosse felice. Credo che lei sia un archetipo: lei è unica», aveva poi aggiunto prendendole la mano e guardandola negli occhi.

Protagonisti del tempo

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Amanda si abbandonata a quella trinità, il triangolo perfetto formato da lei, Dalí, Gala, che, come scrive, diventano quella famiglia che lei non ha mai avuto. Lei, comunque, nei triangoli si è sempre trovata bene, gelosissima ancora adesso per tutto quello che la riguarda, non aveva però problemi a trovare un suo spazio dentro le coppie imbastite attorno ad artisti geniali e fragili.

«Con Gala si comportava come un bambino con la madre» spiega Amanda. Per Gala, a cui è dedicato il libro, centro sempre e comunque della vita di Dalí, lei rappresentava la libertà di avere un suo spazio per dedicarsi agli amanti, ma anche per ritagliarsi del tempo tutto per lei.

Dalí era impotente e aveva pessimi rapporti con il sesso. Anche la relazione di cui si è parlato tanto con il poeta Federico García Lorca, se guardiamo meglio le magnetiche fotografie in bianco e nero che li ritraggono insieme, si rivela per quello che è. Dalí non era riuscito a sopportare la penetrazione e quello era diventato l’incontro di due giovani uomini ambiziosi, affascinanti, eleganti che si riconoscono nel desiderio di essere unici e speciali. Soprattutto protagonisti del loro tempo.

Una David Bowie al femminile

Anche per la moglie di David Bowie, Angie, lei, almeno per il primo periodo è complementare al ménage, l’altra di supporto: tanto che la moglie le compra gli abiti che sa che piacciono a David che le aveva detto: «Andrete d’accordo. Lei non è affatto gelosa, le basta sapere che sono felice».

Staranno insieme due anni in cui le farà prendere lezioni di canto, la farà apparire in alcuni suoi video e la farà mettere sotto contratto dalla sua casa discografica ponendo le basi per la sua consacrazione a regina della disco music. A Dalí, che preoccupato di perderla le chiedeva se aveva intenzione di fare cinema, risponde: «No, la cantante. Sarò la prima cantante rock decadente. Una specie di David Bowie al femminile».

In televisione

La prima canzone che Amanda scrive si intitola Blood and Honey da un quadro del maestro intitolato Il sangue è più dolce del miele, pensava infatti a Dalí mentre scriveva l’inquietante storia di una donna vampiro.

Da qui comincia l’altra vita di Amanda Lear in cui gli incontri con Dalí si fanno più rarefatti, a causa di tutti gli impegni e la grande celebrità che la travolgono, fino quasi ad interrompersi, nell’ultimo periodo quello della malattia, soprattutto dopo la morte di Gala.

Poi c’è tutta la vita che non è raccontata nel libro, quella in cui lei diventa un’icona globale, e che possiamo ritrovare e rivedere sulla rete. Per limitarci all’Italia c’è la televisione commerciale con Silvio Berlusconi che intuisce subito le sue grandi potenzialità e le lascia carta bianca.

Lei contribuisce a far crescere quel nuovo modo di fare televisione, ribaldo, sguaiato, vitalissimo. Per la rai conduce Ars Amanda, in cui conduce stando a letto: «Mi sono accorta che stando stesa nel letto con luce dei riflettore, venivo molto bene, ero molto telegenica». Così intervista personaggi come Federico Zeri, Achille Bonito Oliva che si spoglia davvero o Vittorio Sgarbi, l’unico che sotto le coperte allunga le mani. Partecipa a Bontà loro di Maurizio Costanzo a cui, come ricorda, deve molto. E che l’ha valorizzata.

Magnetica

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«Ho fatto di tutto: teatro, televisione e cinema… ma la cosa più personale è stata la pittura, perché quando dipingo sono sola davanti a una tela bianca. Nessuno mi dice cosa fare, nessuno dice: “truccati, cerca la luce giusta”. È come quando scrivi un libro, sei sola. Tutte le altre cose che ho fatto erano sempre lavori di squadra. C’erano un regista, un produttore, un elettricista. Se lo spettacolo viene bene è grazie al contributo di tutti. Ma quando scrivo o dipingo sono completamente da sola. E io sono più felice e orgogliosa quando riesco a fare qualcosa di bello da sola».

«Lei ha proprio un bel cranio», aveva detto Dalí, richiamando l’attenzione della corte di cui si circondava sul  “meraviglioso scheletro di Amanda”. «Lo scheletro è importantissimo, perché la struttura è sempre la cosa essenziale ed è tutto ciò che resta dopo la morte».

Certo dal vero la presenza scenica di Amanda è ancora impressionante. Incute rispetto. Alta, dritta, magnetica. Soffermandomi, quando ci siamo sedute accanto, a osservare criticamente la sua pelle, come solo un’altra donna di una certa età come me può fare, mi sono lasciata andare a molti sinceri complimenti: «Sono molto disciplinata. Bevo solo acqua e mangio soprattutto frutta. Vado a letto molto presto. Mi godo la natura attorno alla mia casa in Provenza».

Il Metodo paranoico-critico di Dalí le ha insegnato a essere positiva. «Grazie a questo metodo ho un termostato, sono sempre contento, ho sempre lo stesso umore», diceva. A proposito Amanda mi ha fatto subito capire che il paragone con Orlando non era di suo gradimento. E io velocemente sono passata alle domande di rito.

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