La parola che ci tormenta l'esistenza da quando le nostre zie aforiste su Facebook e Instagram hanno scoperto che suonava meglio del poco empowering “Stacce” è ufficialmente arrivata anche a Sanremo: la seconda serata è stata dunque quella della Resilienza.

Resilienza di forma e contenuto, e non più soltanto nell'ovvio senso di spettacolo-che-deve-continuare mentre le Zone diventano sempre più rosse e le varianti inglese e brasiliana insidiano la variante melodica italiana (scommettiamo che l'annuncio del nuovo lockdown verrà dato prima di quello del vincitore? Lo può dare l'assessore al turismo e almeno ci risparmia la menata annuale sui fiori locali poco valorizzati).

Resilienza del festival pandemico che, dopo un debutto caldo e vibrante come l'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha deciso di adattarsi affrontare e superare il trauma: niente più poltrone vuote ma occupate da palloncini (uno di forma fallica giacché la tv di questo secolo si fa solo per i meme spiritosi: la prima serata è stata «la più commentata di sempre sui social». Quindi in molti avranno commentato senza guardare, visti gli ascolti più bassi degli ultimi anni. Un pubblico esigente, diciamo); niente più carrello dei bolliti per i bouquet da donare alle cantanti, ma figuranti guantati; e poi gente che si bacia sulle guance, che si prende per mano, che si passa cartoncini.

Insomma sembrava quasi un ritorno alla normalità: persino i fonici hanno preso coraggio e toccato i mixer permettendoci addirittura di capire i testi delle canzoni. Cosa che gli rinfacceremo a lungo.

Resilienza delle leggende da festival: Orietta Berti tornata in gara dopo 29 anni guadagnandosi finalmente il diritto di non scendere la temibile scala e dimostrando se ce ne fosse bisogno di essere la più punk (quale altro artista è stato inseguito da tre volanti per violazione del coprifuoco? Non Achille Lauro, col quale condivide tralaltro lo stylist. Se solo Luigi Tenco potesse vederla!).

Resilienza dell'ospite in quota vintage Fausto Leali, cancellato da Mediaset pochi mesi fa per presunta indegnità morale al Grande Fratello e riabilitato dalla Rai: e questa è la cosa più vicina al miracolo che sia possibile nel 21mo secolo. Forse per la finale possono invitare Woody Allen, hai visto mai.

Resilienza di Bugo, finalmente ubriaco di libertà come Rocco Casalino, finalmente negativo alle brutte intenzioni e la maleducazione, finalmente uscito dalla quarantena mediatica del virus Morgan-20: potente metàfa dei nostri tempi, benché ancora chiaramente vittima di nebbia neurologica e compositiva.

Resilienza de Lo Stato Sociale, che non si rassegnano al loro destino di Sardine della musica italiana, con tutte quelle good vibes da fuoricorso, quella bolognesità senza malinconia, quel leader che ha come unico punto del programma l'essere portatore di riccioli naturali. È ovvio che Stanley Tucci intendeva mangiare la mortadella con Lodo Guenzi nel suo documentario sulla gastronomia italiana, ma poi si è confuso anche lui e ha chiamato Mattia Santori.

Resilienza di Gaia, de La Rappresentante di Lista, di Random e Willie Peyote: nomi celebratissimi dalla Bolla e dalle Chattering Classes, cioè la versione artistica del possedere una casa costruita su un cimitero indiano. Eppure si sono esibiti con coraggio, sperando di essere notati da Orietta Berti o Marcella Bella e realizzare finalmente il sogno, quei bei tour in Russia e Canada che ti sistemano per sempre,  anche da coristi va bene: meglio che campare di “visualizzazioni”, qualunque cosa siano.

Resilienza di Gio Evan, chiunque egli sia: uno che ci ricordavamo solo per l'aforisma (sicuramente conteneva la R-word) postato da Elisa Isoardi per dare il benservito a Salvini, ma che oggi è Big in Sanremo mentre la Isoardi è costretta a spaccare i cocchi sull'Isola dei Famosi e Salvini a portare la borsa di Giorgetti in Europa. Grande plot per drammatizzare la morte del Sovranismo, lo dico agli sceneggiatori in ascolto.

Resilienza di Achille Lauro e i suoi “quadri”: è chiaro che non gliene freghi niente a nessuno, e che potrebbe essere eliminato dalla scaletta senza danni (l'assenza di Ibra ha dato una svolta alla serata, per dire) ma il ragazzo si è messo in testa una missione impossibile. E cioè voler insegnare alla Generazione Z – quella che non sa niente perché “non ero ancora nato” - quarant'anni di camp in cinque minuti a botta. È la famosa didattica a distanza.

Resilienza di Alex Schwazer e di Cristiana Girelli, attaccante della Nazionale di Calcio Femminile: il primo per ovvi motivi di tigna, la seconda per non aver dato di matto quando Amadeus le ha chiesto «Ti sei ispirata a qualche maschietto?».

Si scuserà sicuramente domani, come si era scusato l'anno scorso per aver definito la sua valletta una che sa stare “un passo indietro”. O magari no, magari quest'anno pure il patriarcato è resiliente.

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