Al primo posto ci sta il Re, quello che regna sulle nostre paure, Stephen King. L’uomo che ha trasformato l’angoscia suburbana americana in best seller da centinaia di milioni di copie e che ha dato pane e orrore a registi come Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma, David Cronenberg e George A. Romero. I suoi romanzi hanno generato film diventati vangeli laici: Stand by Me, Le ali della libertà, Il miglio verde e It, che ha terrorizzato una generazione con un pagliaccio più convincente di molti politici da talk show.

Con Never Flinch – La lotteria degli innocenti (Sperling & Kupfer), King torna alla sua maniera: con un titolo che sembra il motto motivazionale di un corso di autodifesa per liberal spaventati. Il romanzo è il seguito del thriller Holly (2023), e, come spesso capita con il Re, comincia in sordina e poi affonda i denti nella giugulare.

Nelle prime pagine, la brillante, ma tormentata, investigatrice privata Holly Gibney, (che appare in sei dei precedenti libri di King) sta solo cercando di godersi dei tacos di pesce con un altro volto familiare, la detective Izzy Jaynes. Holly e Izzy sono amiche – un’inversione gentile e decisamente femminile della solita animosità e diffidenza rappresentate nei polizieschi tra investigatori privati ​​e forze dell’ordine – e Izzy ha bisogno di aiuto con un caso.

La trama 

Qui King intreccia due filoni narrativi. Il primo inizia con una lettera anonima che minaccia di uccidere «13 innocenti e un colpevole» come bizzarro atto di vendetta; il detective incaricato del caso si rivolge a Holly per chiedere aiuto. Il secondo segue una scrittrice femminista impegnata in un tour di conferenze interrotto da uno stalker violento; chi meglio di Holly può essere ingaggiata per proteggerla? King alza la posta in gioco – e il numero dei cadaveri – mentre le due trame convergono. Gli omicidi sono rapidi. Senza cerimonie. Casuali. Eseguiti con un distacco agghiacciante.

Kate McKay, attivista carismatica – metà Joan Didion, metà Naomi Klein – simbolo di una nuova ondata di femminismo, inizia un tour di conferenze che attraverserà diversi Stati. Mentre le sale si riempiono di sostenitori e detrattori, qualcuno trama nell’ombra per metterla a tacere. All’inizio si tratta solo di piccoli sabotaggi, ma presto il pericolo si fa reale.

Le due storie si rincorrono e si intrecciano, tra le pagine sbucano personaggi nuovi e volti noti, come la leggendaria cantante gospel Sista Bessie (che potrebbe tranquillamente tenere un sermone anche all’inferno) e un assassino che ha fatto della violenza il suo culto, in un finale stupefacente che solo un maestro come Stephen King poteva concepire.

Difendere chi rifiuta di essere protetto diventa un’impresa donchisciottesca, soprattutto quando lo stalker di turno sembra uscito da un feed tossico di social complottisti. E così il libro si fa riflessione (tragica e satirica) sul nostro presente: un mondo dove la giustizia è un meme e la rabbia un’opinione legittima purché urlata.

In fondo, Never Flinch è un romanzo che ci sbatte in faccia la nostra inquietudine: la paura che non esistano più eroi, ma solo performance ben confezionate. Kate McKay lo sa bene: i nostri ideali si sono frantumati in stories da 15 secondi, in dirette Instagram dove si recita la parte dell’impegnato mentre si controlla il numero di cuoricini. La lotteria degli innocenti, verrebbe da dire, è aperta a tutti.

E allora la domanda resta: il mondo è davvero in ordine? O sta solo bruciando con stile?

Un’altra new entry

Altra new entry al quarto posto, La levatrice di Bibbiana Cau, per Nord una grande storia al femminile nella Sardegna di inizio secolo. Va detto che Bibbiana Cau, esordiente, è un’ostetrica di lungo corso che ha accompagnato alla nascita molte nuove vite e che ha scoperto la scrittura, frequentato la Holden e corsi di medicina narrativa.

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